venerdì 2 dicembre 2016

I PROMESSI SPOSI di Alessandro Manzoni. Una dura fatica.



Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo avuto a che fare con I PROMESSI SPOSI, questo librone noioso, scritto in un italiano talmente astruso da sembrare quasi una lingua straniera.   Costretti a studiarlo a scuola, chissà quante volte lo abbiamo maledetto. Quante volte ci siamo detti “ma Manzoni non aveva niente di meglio da fare che scrivere un libraccio che piace solo ai bacucchi?” Me lo chiedevo anch’io, ai tempi del liceo, quando mi lambiccavo il cervello sulle sue pagine, cercando significati che non volevano lasciarsi trovare, e con i quali buttar giù i temi.   Quanto lo ho odiato! Poi, chissà perché, quest’anno mi è venuta voglia di riprenderlo, e così, in un ‘edizione diversa da quella scolastica, mi sono cimentata di nuovo in questa lettura e, benché non me ne sia perdutamente innamorata, l’ho rivalutato.  Ora che sulla lettura non pesavano più i temi da svolgere, l’ho riletto con uno spirito più predisposto verso quella che è una delle due punte di diamante della letteratura italiana, nonché con una mente più matura, quindi scevra da pregiudizi, e un maggiore senso critico. Con questi strumenti mi sono di nuovo incamminata per quel paesino sul lago di Como, di nuovo ho accompagnato Don Abbondio all’incontro con i bravi, seguito Renzo e Lucia nelle loro peripezie, scavato nell’anima dell’Innominato e della monaca di Monza, il personaggio che mi è piaciuto di più, assistito alla peste di Milano, appreso “il sugo di tutta la storia” e perfino riso per l’ironia dell’autore nel narrare fatti anche parecchio tragici.  Ebbene ora di questo libro, benché non lo ami particolarmente, non posso fare a meno di dire quel che Dostoevskij disse di Anna Karenina: I PROMESSI SPOSI è un’opera assolutamente perfetta.  Tanto nella trama quanto nella struttura.  Manzoni ci ha regalato uno specchio perfetto di quella che è la società italiana ancora oggi, a distanza di più di duecento anni.  I Don Rodrigo che oggi sono i boss mafiosi, i Renzo e Lucia che oggi sono le persone vessate dalle mille difficoltà della vita, con uno Stato corrotto e dormiente. Ce lo dimostra chiaramente nell’amaro racconto di quando, all’arrivo della peste, i potenti di Milano tutto fanno fuorché prendere le giuste precauzioni e “impiegano i danari del pubblico nello sproposito”.  In mezzo a tutto questo, però, l’autore non manca di inserire personaggi e situazioni positive, come il cardinal Federico Borromeo, sempre pronto ad aiutare tutti, l’Innominato che, dopo una vita dissoluta, si converte e diventa un santo in terra. Come a dire che non è mai troppo tardi per redimersi, per quanto male si sia fatto. Che nello stesso male può nascondersi il bene. Una scena che mi ha colpito particolarmente è il pezzo della madre di Cecilia, la bambina morta di peste che si avvia alla tomba vestita a festa. La compostezza e il dolore dignitoso in mezzo a tanto squallore. Nocciolo di tutto, la fede nella Provvidenza, che l’autore non si stanca mai di ribadire.  Come non si stanca mai di ribadire di sopportare con pazienza gli sgambetti della vita, che prima o poi tutto si aggiusta.  Un bel messaggio in un mondo come quello attuale. Cosi connesso eppure cosi solo. Cosi progredito tecnologicamente eppure mentalmente così indietro. Dove la speranza muore prima di nascere, pazienza e perseveranza non si sa più cosa siano e i lieti fini sono rari.  Rileggere questo libro mi ha fatto capire molto del paese in cui vivo, dell’animo umano e dell’uomo in generale, vero protagonista del romanzo.  Un’opera che vale la pena odiare da ragazzi e riscoprire da adulti, che vale la fatica durata a comprenderlo, che anche se non lo ami non puoi non apprezzare.  Insomma un rapporto complicato che non si può fare a meno di vivere.   



sabato 5 novembre 2016

Recensione di INSCIALLAH di Oriana Fallaci - a cura di Selene Luise

L’Iliade del novecento





Piccola Iliade. È così che Oriana Fallaci, per bocca di uno dei personaggi, definisce uno dei suoi massimi capolavori: Insciallah. Che poi tanto piccola non è, viste le sue ottocento pagine. Uscito a parecchi anni di distanza dall'ultima fatica letteraria dell’autrice, questo romanzo si svolge nell'arco di tre mesi e racconta del contingente italiano a Beirut, al tempo dei sanguinosi eventi che sconvolsero gli ultimi due decenni del secolo scorso. Si apre con l’orrenda immagine  dei cani randagi che invadono, di notte, la città semidistrutta in cerca di carcasse da sbranare e con una duplice strage e, così facendo, il lettore si trova subito scaraventato in un racconto di guerra. Insomma, sin dall'incipit è avvertito di non aspettarsi niente di buono dalla storia che sta per  leggere. Sulla scena compaiono in tutto una sessantina di personaggi, tra cui i più importanti sono: il Professore, portavoce dell’autrice stessa, che per non sentirsi solo scrive lettere ad una moglie che non ha.  Charlie, comandante-chioccia dei suoi sottoposti. Angelo ,il matematico alla ricerca della formula della Vita, il quale cerca nei numeri la via per sfuggire al caos del mondo, un caos che lo spaventa, dal quale si sente risucchiato e da cui la sua matematica non può proteggerlo. Angelo è corteggiato da Ninette, una misteriosa ragazza libanese che sembra non voglia altro che un po’ di leggerezza in mezzo a tanto orrore, ma con una tragedia alle spalle.  I piccoli Maometto e Leida , Paspartout, metafore dell’infanzia uccisa o  rovinata dalla guerra decisa dai grandi, e molti altri.  L’autrice ce li presenta uno per uno, nell'intimo della loro psiche. Ce li fa conoscere così in profondità che alla fine, anche se magari sono antipatici come Cavallo Pazzo, non puoi fare a meno di amarli. Parte dalla loro sovrastruttura di soldati, figura di cui la gente è abituata a vedere la durezza , la compostezza, la disciplina.  Nient’altro che la divisa che portano addosso, ma Oriana, con una maestria da meccanico, piano  piano ,pezzo dopo pezzo, smonta questa corazza e ce li rivela  in tutta la loro nuda fragilità di esseri umani. Di creature inermi che  conducono una guerra gli uni contro gli altri. E per che cosa? Tanti personaggi ma un solo protagonista, la guerra. Questa sporca abitudine di scannarsi gli uni con gli altri. La guerra che non risparmia nessuno, nemmeno i bambini. Anzi sono proprio loro a pagare il prezzo più alto. La guerra che fa dell’essere umano un mostro ; La guerra dove non c’è posto per i sentimenti, dove l’essenza stessa della vita viene annullata sotto le bombe e i colpi di mortaio. Leggendo il libro, ho amato ciascuno di questi personaggi. Ho avuto voglia di abbracciarli uno per uno. E nello stesso tempo riflettevo. Riflettevo sul fatto di come l’uomo riesca ad essere contemporaneamente la creatura più intelligente e la più stupida.  Capace di scrivere la Divina Commedia come il Mein Kampf, di costruire computer superveloci come armi da guerra. In una parola, l’unica specie che usa la sua intelligenza per annientare sé stessa.  E da ciò tanti interrogativi, tante domande sull'uomo, i suoi conflitti, il mondo crudele che stiamo distruggendo, dimentichi che ne abbiamo uno solo. Insciallah è una tappa obbligata per chi vuole scrivere, ma anche una preziosissima pietra miliare per capire il secolo appena passato e dare uno sguardo a ciò che verrà. Vale la pena affrontare questo mattone un poco alla volta, come per UN UOMO, e lasciare che ci tocchi mente e cuore.   




domenica 23 ottobre 2016

Recensione di “Un uomo” di Oriana Fallaci. Una fiaba reale


Recensione di “Un uomo” di Oriana Fallaci.
Una fiaba reale




Si dice che il tempo guarisca ogni ferita. Ma ciò è vero solo in parte. Esistono, infatti, ferite talmente profonde che non si chiudono mai, nonostante lo scorrere del tempo. Che lasciano cicatrici mal suturate le quali da un momento all’altro possono riaprirsi e sanguinare. Tutto questo Oriana Fallaci lo sapeva bene e il libro che mi accingo a recensire, UN UOMO, nacque dal dolore per la perdita del suo compagno, Alekos Panagulis, ucciso in misterioso incidente. La perdita di qualcuno cui si vuole particolarmente bene è un trauma che segna a vita, che richiede tempo e pazienza per essere elaborato. Ciascuno la fa a modo suo e uno scrittore in quale altro modo può elaborare la perdita della persona amata se non raccontando la sua storia? Lei e Alekos si incontrarono nel 1973, dopo che lui era uscito dal carcere per una grazia mai chiesta né voluta, e si innamorarono di un amore cerebrale, battagliero, fatto di piccoli gesti di tenerezza e di scontri. Io, personalmente, odio le storie d’amore, tutte quelle insulse mielosaggini alla Jane Austen. Non ho nemmeno fiducia in questo strano sentimento tanto decantato dai poeti che spinge ad un gesto così pericoloso come mettere la propria anima nelle mani di un altro. Ma grazie a UN UOMO e ad un altro libro ho capito che quell’idea di amore tutto rose e fiori di cui ci bombardano i media è sbagliata. Completamente sbagliata. Esso è tutt’altra cosa. È un legame profondo che presuppone, innanzitutto, la libertà di entrambi gli amanti. La libertà di essere sé stessi, di fare le proprie scelte anche se ciò significa scontrarsi. Dopotutto i conflitti sono costruttivi. Nonché sincerità e accettazione. Ciò è ben visibile nel rapporto tra Alekos e Oriana, due Ulisse, due guerrieri perennemente in lotta. Soprattutto nel modo in cui Oriana ce lo descrive, questo eroe moderno dai mille volti. Durante tutto il racconto non lo vediamo mai filtrato attraverso “occhiali rosa”, anzi l’autrice, con la sua tipica schiettezza, non si esime dall’evidenziarne i difetti, fisici e caratteriali. Non si lascia andare alla tentazione del ricordare solo il bello di una persona che non c’è più. Sullo sfondo di tutto ciò, si colloca la storia, la “fiaba”, dell’eroe della resistenza greca. L’eroe che finisce in carcere per aver tentato di uccidere il dittatore, che ivi subisce le peggiori torture, che rischia di finire al patibolo per poi essere graziato contro la sua volontà. Che anche fuori dal carcere, continua ad essere prigioniero della propria lotta, dei propri ideali, del “drago” che si è scelto. Prima il potere che tortura e uccide, poi il potere silenzioso , e perciò ancora più subdolo, che non picchia, ma annienta l’anima in un lungo lento stillicidio e sotto le spoglie di una democrazia inesistente. Ma la gente questo non lo capisce. La gente che con tanta facilità è sedotta dal “potere che intruppa” e da esso si lascia lobotomizzare. Fino al punto che solo la morte dell’eroe riesce a destarla. E da ciò la domanda: perché è sempre necessaria la morte affinché un popolo si svegli e prenda coscienza di sé? Affinché spezzi le catene mentali dal quale si è lasciato legare? Arriverà mai il giorno in cui l’essere umano sarà così maturo da non aver più bisogno di eroi? Chi lo sa. Ma non per questo si deve smettere di lottare, di sognare un mondo migliore. Se si ha un ideale, lo si deve proteggere, lottare per esso, costi quel che costi. Ciò ci ha insegnato Alekos. Un eroe, sì, ma non dimentichiamoci che gli eroi sono prodotti delle società repressive.




martedì 13 settembre 2016

Recensione IL NIDO DELLA FOLLIA di Francesco Proia. Anfiteatro Editore.

Recensione IL NIDO DELLA FOLLIA  di Francesco Proia. Anfiteatro Editore.

Uno sguardo sul lato oscuro della mente umana






Il libro che mi accingo a recensire rappresenta un primo, e sottolineo, primo, punto di arrivo di un percorso riflessivo iniziato qualche anno fa ,circa un tema tanto affascinante quanto spaventoso : la follia umana. Quella strana cosa che tutti, chi più chi meno, abbiamo e ci fa paura. Tanta paura che si è sempre cercato di occultarla, comprimerla, relegarla dove non la si possa né vedere né sentire, se non da chi deve professionalmente occuparsene. Un atteggiamento che non biasimo. Dopotutto è umano temere  l’invisibile. Ambientato a L’Aquila ,nel 1956, il romanzo racconta di un funzionario ministeriale che, insieme al suo superiore, deve compiere un’ispezione nell’ospedale psichiatrico di Collemaggio. Un ‘ispezione che lo porterà a scontrarsi con i più neri abissi della pazzia umana e sui crudeli metodi con cui si pretende di curarla. Il giovane protagonista, durante il suo soggiorno nel manicomio, ha modo di apprendere molte cose sulla follia. In primis, come ho già detto, che essa fa parte di noi, di tutti noi, non solo di chi soffre di patologie mentali. In quanto facente parte dell’essere umano, non la si può curare, solo tenere a bada, ma soprattutto che tante, troppe volte essa viene usata per etichettare e condannare ciò che la società non approva, come l’omosessualità, e che  dietro di lei si nasconde il terrore della diversità. Questo toccante libro ribadisce, inoltre, quanto è labile il confine tra sanità e pazzia e che a volte le due cose si mischiano e si confondono. L’intreccio è coinvolgente, ma lo stile, piuttosto pesantuccio, lascia un pochino a desiderare. Non è scorrevole e manca di coinvolgimento. A tratti sembra solo abbozzato. Nonostante questi pochi difetti, si tratta di un buon libro. Una lettura obbligata per chiunque voglia  approfondire questa affascinante, inquietante tematica.



sabato 6 agosto 2016

"Incubo" di Wulf Dorn

Una lettura da “incubo”





Ci sono libri che, una volta letti, ti restano appiccicati addosso come sanguisughe, con tutta una caterva di pensieri e sensazioni. “Incubo” è uno di questi. Quando mi accinsi a leggerlo, avevo una vaga idea di cosa stavo per affrontare, dato che di questo autore ho letto tutte le opere precedenti, ciascuna delle quali mi ha lasciato qualcosa. Ma con questa sua ultima fatica è stato diverso. Oserei dire traumatizzante. Affrontare questa lettura è stato letteralmente un incubo. Il motivo riguarda principalmente la trama. Racconta di un ragazzo autistico che perde i genitori in un incidente d’auto, con tutte le conseguenze che gli piombano addosso come macigni. In primis il senso di colpa per essere sopravvissuto, gli incubi e i vuoti di memoria dovuti al trauma. In secundis, il dover affrontare il  doloroso inizio di una nuova vita. In tante peripezie, l’unica nota positiva è la sua amicizia con Caro, una ragazzina che conosce nella nuova scuola, la quale lo capisce e lo accetta così com’è. Segue poi una vicenda intricata, fino al finale che colpisce come un pugno in pieno volto.  Ero preparata al classico colpo di scena alla Dorn, però non immaginavo un tale colpo. Comunque, non è questo il motivo per cui questo libro mi ha tanto sconvolta. Il fatto è che esso ha toccato dei temi che da sette lunghi anni sono appiccicati, anzi marchiati a fuoco, nella mia anima. La transitorietà, l’illusione della sicurezza, il  fatto che tutto possa cambiare da un momento all’altro. Io ho avuto modo di imparare tutto ciò a mie spese una notte di aprile. La maledetta notte in cui il terremoto , in ventitré lunghissimi secondi, mi ha tolto tutto ciò che fino ad allora era stata la mia vita. Sembrava che il protagonista fosse la somma delle mie insicurezze e delle mie fragilità di allora, incarnatesi in un personaggio di carta e inchiostro  messo lì a mostrarmi cosa sarebbe potuto succedere se non le avessi tenute a bada.   Mi sono presa un tale spavento che dubito che prenderò di nuovo in mano qualcosa di questo autore. Kafka diceva che un libro deve essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi. Sono d’accordo, ma questa volta l’ascia è penetrata troppo a fondo, andando a toccare punti ancora dolenti, nonostante il passare il tempo. Nonostante questo, però, non mi pento di averlo letto. Perché se da un lato ha toccato ferite ancora aperte, dall’altro mi ha ricordato che ho un carattere forte, grazie al quale non sono crollata e le avversità che ho dovuto affrontare non hanno avuto la meglio su di me. Ha riportato alla mia mente il più grande insegnamento che ho tratto dal terremoto : carpe diem. Cogli l’attimo, perché niente è eterno e tutto può cambiare da un momento all’altro. E quando avviene, mai lasciarsi abbattere, ma farsi forza e rimettersi in piedi, perché la vita è una guerra, e in guerra o si combatte o si muore. Libro consigliatissimo,  ma leggetelo armati di coraggio. 


giovedì 14 luglio 2016

DELITTO E CASTIGO: il romanzo multicolore.

DELITTO E CASTIGO: il romanzo multicolore.





DELITTO E CASTIGO di Fedor Dostoevskij è il primo classico che ho letto di mia spontanea volontà, nonché il romanzo che mi ha iniziata al mondo dostoevskiano e ai classici in generale. La definizione che di solito ne dà la critica è quella di “poliziesco”, “romanzo criminale”. A mio parere una tale definizione è oltremodo riduttiva. In esso, nella sua trama, si intrecciano molteplici tematiche come la libertà, il sentimento del giusto e dell’ingiusto, del bene e del male, i modi umani di reagire al dolore, alla sofferenza, l’espiazione delle proprie colpe e tantissimi altri. In questo romanzo, ogni personaggio ha una sua autonomia, una sua personalità e dignità. Sono indipendenti gli uni dagli altri. Ma il protagonista è uno solo: Raskolnikov, un giovane studente. Il suo nome, si badi, non è casuale. Viene dal termine raskolnik che significa “scisma”, “rottura”. Raskolnikov, venuto a Pietroburgo dalla campagna per frequentare l’università, a causa di gravi ristrettezze economiche è costretto ad abbandonare gli studi e un bel giorno, per dimostrare a tutti, soprattutto a se stesso, di essere un super-uomo, uccide una vecchia usuraia. Raskolnikov, nel compiere il delitto, in un primo momento pensa anche di fare un favore all’umanità, liberandola da un essere abietto come l’usuraia, ma col passare del tempo la consapevolezza di aver commesso un grave crimine e il rimorso di coscienza, alla fine, lo portano a costituirsi. Delitto, colpa ed espiazione. Questi i tre cardini su cui si basa l’apparentemente semplice trama. Dico apparentemente perché in essa si celano significati molto più profondi che fanno capire come mai non solo è riduttivo, ma anche sbagliato, chiamarlo “poliziesco”. Qui siamo di fronte ad una vero e proprio romanzo psicologico. La vicenda del protagonista ci mostra che la libertà, se non frenata dai dovuti limiti, si autonega. Raskolnikov è spesso considerato un anti-eroe. Ciò è vero se lo confrontiamo con i protagonisti del resto della letteratura europea, ma non se lo si analizza nella sua essenza. Io lo definirei l’eroe per eccellenza, perché anche lui combatte contro i suoi nemici, che non sono tangibili ma interiori (la sua colpa e la paura della punizione) e li sconfigge proprio confessando il suo delitto e accettando il meritato castigo. Prima di giungere a questo, però, Raskolnikov ci pone un importante interrogativo: “i più grandi uomini  della storia hanno fatto stragi su stragi per arrivare dove sono arrivati, e i posteri li ricordano e li celebrano quasi come dei. Perché io, che ho ucciso un pidocchio, devo andare ai lavori forzati?” Una persona superficiale risponderebbe che quelle stragi erano necessarie per il bene dell’umanità, ma noi semplici mortali siamo sicuri di saper distinguere il bene dal male? Non vale forse per tutti il comandamento “non uccidere”? Ciò vuol dire che l’umanità venera degli assassini ai quali, a differenza di Raskolnikov, non viene imposto di pagare per le loro colpe e in cui il potere ha messo a tacere la coscienza. È un quesito pesante come un macigno, questo, che ci costringe a rivedere tutte le nostre convinzioni più radicate, ma in questa sede sarebbe troppo lungo discuterne. Come ho detto prima, accanto a Raskolnikov, ci sono altri personaggi che insieme a lui vivono e agiscono. Tre i più importanti: i suoi opposti Marmeladov, Svidrjgajlov e la protagonista femminile del romanzo: Sonja. Marmeladov è un povero disgraziato con moglie e figli da sfamare, il cui impiego non gli permette di condurre un’esistenza dignitosa, ma lui invece di reagire, passa la giornate ad ubriacarsi; ma nonostante le botte della moglie e la consapevolezza della propria situazione continua a vivere così. Lui rappresenta l’umanità sofferente incapace di rimettersi in piedi, che passa il tempo a piangersi addosso e il cui unico desiderio è essere compatita. Svidrjgajlov è un Raskolnikov al negativo. Lui nella vita ha commesso una bassezza dietro l’altra e in ognuna di esse trova un malsano piacere, il piacere di sprofondare sempre di più nell’abisso dell’infamia. Egli rappresenta il masochismo, l’attrazione fatale esercitata dal male sulla psiche umana. Il suo suicidio è l’altro risultato dell’eccesiva libertà. Veniamo infine a Sonja, figlia di Marmeladov, la quale per mantenere sé stessa e la famiglia è costretta a prostituirsi.  Lei è esteriormente timida e insignificante, ma dentro nasconde una grande forza d’animo. Nel corso della storia non la vediamo mai lamentarsi della sua deplorevole situazione. Anzi sopporta la sua croce con pazienza e dignità, confidando sempre in Cristo, tant’è che quando incontra Raskolnikov e apprende da lui ciò che ha fatto, non solo non lo giudica, ma lo ama. Lo ama perché vede in lui un’anima che soffre tormenti peggiori dei suoi. Sonja considera sé stessa perduta per sempre, per lui vede che c’è una possibilità di redenzione, ma solo se ammetterà la propria colpa e accetterà la sofferenza da ciò derivante e la pena. È, infatti, proprio Sonja a convincere Raskolnikov a costituirsi e lo segue fino in Siberia per stargli accanto durante la reclusione. Raskolnikov all’inizio è infastidito da questo amore che Sonja prova per lui, perché sente di non meritarlo e perché gli fa percepire ancora di più la gravità della sua azione, ma alla fine lo accetta e vi si abbandona completamente, in quanto capisce che questo lo aiuterà a redimersi e a rigenerarsi ad una nuova vita al termine della pena. Ritroviamo qui il tema dostoevskiano della sofferenza purificatrice e dei demoni presenti nella società e nell’animo umano che, se guardiamo bene, è il vero protagonista del romanzo. Un capolavoro di psicoanalisi alla stato puro con una manciata di filosofia e romanticismo. Un arcobaleno di sentimenti che si intrecciano tra loro. Per l’appunto una romanzo multicolore.

   


martedì 5 luglio 2016

Lettera a un bambino mai nato: un inno alla vita

Lettera a un bambino mai nato: un inno alla vita




Spesso si pensa che i libri di volume modesto siano leggeri anche nel contenuto.  La maggior parte delle volte non è così. I libri piccoli di spessore spesso sono micidiali. Colpiscono in profondità come una lama ben affilata. In essi l’autore somministra il suo miele a palate e senza diluirlo, come invece avviene con i romanzi lunghi. LETTERA A UN BAMBINO MAI NATO di Oriana Fallaci è uno di questi. Un libro piccolissimo, che si finisce in giorno, ma con tali e tanti significati, una profondità così grande che esso, nonostante la sua ridotta quantità di pagine, pesa come se ci fosse tutto il mondo dentro.  La protagonista è una donna senza nome né volto che scopre improvvisamente di essere incinta e imbastisce un dialogo, che in realtà è più un monologo, con il bambino che porta in grembo. Un bambino che, come dice il titolo, non nascerà.  Intorno a lei si muove una girandola di personaggi, anche essi senza nome né volto, che più o meno direttamente intervengono nella vicenda: il medico ottuso, la dottoressa ottimista, il padre menefreghista, l’amica della protagonista eccetera. Nel monologo emergono molte tematiche ancora, purtroppo, attuali. In primis la dura vita delle donne indipendenti che, solo perché sono tali, si vedono negare dal pensare comune il diritto ad essere felici e ad avere una famiglia senza dover rinunciare al lavoro. Una specie di sanzione per aver osato ricordare al mondo maschile che il corpo femminile non è un incubatrice né un giocattolo e soprattutto che appartiene alla donna, non al suo compagno.  Questioni bioetiche come il chiedersi se sia giusto sacrificare ciò che è per qualcosa che ancora non è, l’aborto, l’utero in affitto. Ancora le leggi di un mondo spietato che non fa sconti a nessuno, perennemente in attesa di un domani migliore che non arriva mai. In tutto questo, però, c’è un lumicino di speranza. La vita. La vita che, come la ginestra di Leopardi, resiste nonostante le mille avversità che le passano sopra come la lava di un vulcano. La vita che resiste a tutto, la vita che non muore perché la sua essenza, l’amore, è più forte di tutto, anche della morte. Questo piccolo inno alla vita è uno di quei libri che, una volta letti, ti cambiano dentro per sempre. Uno di quei libri che tutti dovrebbero leggere almeno una volta nella vita. Lasciarsi invadere dalla sua prosa poetica e mettere in moto gli ingranaggi della mente con gli innumerevoli spunti di riflessione che offre.  Un libro che va dritto al cuore, lasciandogli un marchio indelebile. Da leggere più e più e volte. Uno di quei pilastri da cui partire per costruire un mondo migliore, dove le donne non vengano più considerate dei sub-umani o delle incubatrici e dove il poter dare la vita non sia più considerato un incidente ma il grande miracolo che è.  Medita, mondo! Soprattutto voi maschi!  


domenica 26 giugno 2016

CONCORSO NAZIONALE DI POESIA “ENRICO ZORZI” XXIX edizione – 2016


CONCORSO NAZIONALE DI POESIA “ENRICO ZORZI” XXIX edizione – 2016

La famiglia Zorzi, con il patrocinio dell’Arma dei Carabinieri e dell’ Associazione Nazionale Carabinieri di Verona, in collaborazione con Associazione culturale “Luni del Poeta” Tolo da Re, indice e organizza la XXIX edizione del premio nazionale di poesia “Enrico Zorzi”.

Scadenza: 15 settembre 2016.
Premiazione: 11 novembre - ore 17,30 presso il “Circolo Unificato dell’Esercito” - Verona.

REGOLAMENTO
1) Il premio “Enrico Zorzi”, per l’anno 2016, viene organizzato come sopra esposto ed è aperto a tutti i poeti. Il premio è diviso in tre sezioni. Si partecipa con due componimenti obbligatori per sezione (max 32 versi ogni poesia). A parziale copertura delle spese di segreteria si chiede un contributo di 10,00 € per ogni sezione alla quale si partecipa.

Sez. A - Poesia dialettale del Triveneto a tema libero
Sez. B - Poesia in lingua italiana con tema “Il Comandante della stazione dei carabinieri: protagonista del suo territorio”.
Sez. C - Poesia in lingua italiana a tema libero.

2) Gli elaborati dovranno essere inviati entro e non oltre il 15 settembre 2016 (farà fede il timbro postale) al seguente indirizzo: Concorso di poesia “Enrico Zorzi” c/o Trattoria la Genovesa - Strada della Genovesa, 44 - 37135 Verona, e prodotti in 6 copie in formato A4 - di cui una soltanto dovrà recare in calce: nome e cognome, indirizzo, numero telefonico ed e-mail dell’autore chiaramente leggibili, nonché la firma, come autentica della composizione, e il contributo di 10 € in contanti per ogni sezione. Segnalare la sezione alla quale l’autore intende partecipare. Inoltre, la dichiarazione che le stesse sono inedite e mai state premiate. Non verranno accettati testi scritti a mano.
E’ ammessa la partecipazione a tutte le sezioni, previo versamento delle rispettive quote.

I verbali della giuria saranno inviati esclusivamente per posta elettronica.

3) La Giuria sarà resa nota al momento della premiazione l’11 novembre - ore 17,30 presso il “Circolo Unificato dell’Esercito” – Verona (Castelvecchio).

4) I vincitori e i segnalati saranno avvisati telefonicamente

5) PREMI
Sezione A:
Primo classificato - pennino d’oro, targa personalizzata con la riproduzione della lirica premiata
e opera del pittore Mario Dalla Fini
Secondo e Terzo classificati - pennino d’argento, targa personalizzata con la riproduzione della lirica premiata

Sezione B:
Primo classificato - pennino d’oro, targa personalizzata con la riproduzione della lirica premiata
e opera del pittore Mario Dalla Fini  
Secondo e Terzo classificati - pennino d’argento, targa personalizzata con la riproduzione della lirica premiata

Sezione C:
Primo classificato - pennino d’oro, targa personalizzata con la riproduzione della lirica premiata  
e opera del pittore Mario Dalla Fini
Secondo e Terzo classificati - pennino d’argento, targa personalizzata con la riproduzione della lirica premiata

I premi dovranno essere ritirati personalmente.
6) N.B. La partecipazione al concorso implica l’accettazione del presente regolamento.

7) La giuria, il cui giudizio è inappellabile, ha facoltà di segnalare ulteriori autori meritevoli, oltre i vincitori, le cui poesie saranno pubblicate sull'apposito libretto.


Associazione culturale “Luni del Poeta” Tolo da Re
c/o Trattoria la Genovesa - Strada della Genovesa, 44 - 37135 Verona
Tel. 045 8550997 - cell. 3400012354 - e-mail: nuovagenovesa@gmail.com

sabato 25 giugno 2016

Phobia. Appuntamento con la paura





Phobia. Appuntamento con la paura

Quando leggi un libro di Dorn, il  solo  vedere la copertina ti fa sentire un brivido lungo la schiena. Il brivido che prova il funambolo mentre cammina a metri e metri di altezza, o quello del surfista mentre si accinge a cavalcare l’onda tanto attesa. Dal momento in cui apri il libro, non vedi l’ora di conoscere il protagonista e di farti trascinare nella spirale di demoni e sentimenti che è la mente umana. L’ultimo libro di Dorn, però, ha qualcosa di diverso rispetto ai precedenti. Non si limita a raccontare per il puro intrattenimento o per il piacere terribile ed euforico che da la suspense. No. Questo contiene un insegnamento. Che tutti noi, come la protagonista, abbiamo dentro un demone, una phobia appunto, che se non controllato può toglierci quanto c’è di più bello nel vivere. Essa, però, va a braccetto con la coscienza. Quella voce senza nome che, incurante della nostra codardia, ci spinge a scavarci dentro. Ad affrontare a spada tratta ciò che ci paralizza. Nel romanzo, è impersonata dall'“uomo con le cicatrici” che prende le identità altrui per nascondere la propria. All'inizio assume le vesti del  voyeur psicopatico , per poi rivelarsi, alla fine, un poveretto a cui la vita ha tolto tutto, le cui azioni sono dettate solo dallo scopo di ammonire gli altri a non sprecare l’esistenza nel rincorrere frivolezze senza costrutto, ma ad aver cura e a godere di ciò che si ha, perché la vita potrebbe togliertelo da un momento all' altro. Allora il lettore, dopo averlo odiato, prova compassione per questo disgraziato. Quasi ammirazione, verso le ultime pagine. Libro consigliato agli amanti del genere e, soprattutto, a tutti quelli che sono stati presi a schiaffi dalla vita.








mercoledì 15 giugno 2016

Ciò che inferno non è: il mio paradiso

Ciò che inferno non è: il mio paradiso






Non trovando le parole giuste per descrivere quel che mi ha lasciato questo libro, ho dovuto ricorrere ad una frase di Stephen King. Ma del resto, ad una scrittrice esordiente può essere concessa qualche piccola copiatura. Il libro in questione è il terzo di  Alessandro D’Avenia, un autore che ho a poco a poco imparato ad apprezzare. Il primo che ha scritto, "Bianca  come il latte rossa come il sangue", era una bella storia, adatta ai teenager alle prese con le prime sfide della vita. Scorrevole, piacevole da leggere ma non mi ha lasciato granché. Il secondo, invece, "cose che nessuno sa", è entrato nell’elenco dei miei libri preferiti. Con lui è stato amore a prima vista, prima e dopo averlo letto, perché avevo l’impressione che quel libro parlasse di …. Me.  Ma ora veniamo al dunque.  Il libro che ora mi accingo a commentare è ambientato a Palermo, nell’estate del 1993 e, pur essendo un racconto di fantasia ,ha tra i protagonisti una persona realmente esistita, Don Pino Puglisi, il prete ucciso da Cosa Nostra, perché sapeva tenere la testa alta in un  mondo che tiene gli occhi a terra. L’altro protagonista è Federico,ragazzo intelligente  e sensibile che si offre di dare una mano a Don Pino al centro Padrenostro a Brancaccio, e così facendo scopre l’esistenza di un mondo nascosto, fatto di violenza, sottomissione ed omertà, che lui, figlio dei quartieri alti, neanche immaginava. L’esperienza a Brancaccio lo porta a guardarsi dentro, a fare i conti con  i propri limiti ma, soprattutto, gli fa capire quanto poco conosca la città in cui vive. Discorso, questo , che può essere esteso all’Italia in generale, di cui la Sicilia è la più eloquente rappresentazione.  In Federico ho trovato una specie di specchio, un alter ego. Stessa passione per i libri, in particolare per Dostoevskij, stesse inquietudini, stessi dubbi, stessa voglia di lottare e di cambiare il mondo, stessa sensazione di inadeguatezza.  Inutile dire che ho amato da subito questo personaggio. Ma di questo romanzo ciò che più colpisce è la capacità di descrivere, quasi come una foto, Palermo e il suo cuore di tenebra : la mafia.  Entrambe vengono descritte con una crudezza e un realismo impressionanti, ma senza   ricadere nel tecnicismo che  spesso caratterizza i resoconti sull’argomento.  E’ come se il libro dicesse “attento lettore, la mafia è ovunque, anche vicino a te”. E in effetti è vero. Si chiama mafia l’insaziabile sete di denaro, la giustizia che premia gli empi e punisce gli onesti, le colate di cemento, frutto di appalti truccati, che deturpano e sfigurano quanto c’è di più bello in Italia.  In una parola si chiama mafia quanto c’è di peggio nel nostro paese.  L’autore, nel corso del romanzo, non smette mai di ribadire che ,oltre a questo cuore marcio, ce n’è un altro, di carne  che , anche se pieno  di graffi e nonostante l’abbiano pugnalato tante volte, continua a battere. Piano ma batte. Come nella mia città, L’Aquila, che sembra morta, con i palazzi crollati e le impalcature che ancora la sfigurano, ma è vivissima e piena di voglia di tornare a volare. Mentre lo leggevo, due sono state le sensazioni più profonde che ho provato. La prima, quella di andare là giù, a vedere la perla del mediterraneo, conoscerla, toccare con mano il suo bello e il suo brutto. La seconda è una specie di richiamo. Io studio legge, ma non so ancora se fare la criminologa  o la p.m. Dal 93 ad oggi ne è passata di acqua sotto i ponti, e qualcosa è cambiato, ma c’è ancora molto da fare. Ebbene, ho avuto come l’impressione che la storia mi dicesse “sbrigati! Che qui c’è bisogno di te”. Forse pecco di superbia eppure … il tempo dirà se la mia impressione è giusta. Per concludere, dirò soltanto questo. Quando vi dicono “andate via che il paese è condannato e nessuno può farci niente”, non ci credete, perché finché ci saranno persone che credono nel futuro, che non smettono mai di sognare e non si sottomettono al male, il paese non è affatto condannato e chiunque può fare qualcosa perché questo germe venga definitivamente estirpato.



venerdì 10 giugno 2016

I EDIZIONE DEL PREMIO LETTERARIO “GUSTAVO PECE”



I EDIZIONE DEL PREMIO LETTERARIO
 “GUSTAVO PECE”
La casa editrice La Ruota Edizioni indice la I edizione del premio letterario intitolato a
Gustavo Pece (1875-1968)
poeta e personalità di spicco di Forlì del Sannio (IS).




REGOLAMENTO

Art. 1: la casa editrice La Ruota Edizioni indice la I Edizione del Premio letterario “Gustavo Pece”.
Art. 2: il concorso è suddiviso in 4 sezioni:
A)     Narrativa
Si concorre inviando 1 opera di prosa inedita, a tema libero e in lingua italiana (come un romanzo o una raccolta di racconti);
B)     Poesia
Si concorre inviando 1 o 2 poesie inedite, a tema libero, in lingua italiana o in dialetto (con traduzione in italiano);
C)     Racconti a tema “l’integrazione”
Si concorre inviando 1 solo racconto inedito, in lingua italiana, che rispetti i seguenti parametri:
1.      il racconto deve rispettare la tematica proposta, ossia l’integrazione intesa come qualunque forma di accettazione del “diverso”, visto come un arricchimento e non come un qualcosa da temere e quindi rifiutare;
2.      il racconto non deve superare le 6 facciate.
D)     Haiku
Si concorre inviando da 3 a 5 haiku inediti, a tema libero e in lingua italiana.
Art. 3: il concorso è aperto ad autori provenienti da tutto il mondo, purché scrivano in lingua italiana.
Art. 4: ogni autore può partecipare anche a più sezioni pagando soltanto 1 quota di iscrizione pari a 10,00 €, l’importante è mandare tutto il materiale in una sola mail o in un solo plico.
La quota di iscrizione può essere inviata tramite
A)     bonifico bancario sul conto BancoPosta, intestato a Maristella Occhionero, Codice IBAN IT22E0760103200000006620356;
B)     ricarica Postepay, intestata a Maristella Occhionero, numero carta 4023600622751552;
C)     contanti, da inserire direttamente nel plico.
Indicare sempre come causale del versamento: QUOTA ISCRIZIONE PREMIO PECE 2016.
Art. 5: i concorrenti dovranno far pervenire gli elaborati entro e non oltre il 15 settembre 2016, scegliendo tra le modalità che seguono:
A)     E-mail
Inviare una mail all’indirizzo redazione@laruotaedizioni.it con oggetto “Partecipazione al Premio Gustavo Pece 2016”, allegando
1.      i file (word o pdf) contenenti gli elaborati, che non dovranno riportare alcun riferimento ai propri dati personali;
2.      il modulo di partecipazione, compilato e firmato (che troverete nell'ultima pagina del pdf allegato a questa mail);
3.      la copia della ricevuta di versamento della quota di iscrizione.

B)     Posta
Inviare all’indirizzo:
Premio Gustavo Pece 2016
c/o La Ruota Edizioni di Maristella Occhionero
Piazza dei Vocazionisti, 4
00138 Roma (RM)
un plico contenente:
1.      una busta chiusa con all’interno il modulo di partecipazione, compilato e firmato e la ricevuta di pagamento della quota di iscrizione (o i contanti)
2.      gli elaborati, in duplice copia, che non dovranno riportare alcun riferimento ai propri dati personali.
Art. 6: le opere che arriveranno alla segreteria del Premio, dopo essere state registrate, saranno lette, in forma assolutamente anonima, dai componenti della Giuria, che designerà i primi tre classificati per ogni sezione.
Il giudizio della Giuria è insindacabile e la stessa non è tenuta a motivare la scelta dei vincitori.
La giuria potrà indicare ulteriori opere degne di nota che riceveranno una menzione in sede di premiazione.
Art. 7: i nomi dei membri della Giuria saranno comunicati solo al termine delle valutazioni dei testi;
Art. 8: i premi per i vincitori sono i seguenti:
1)     Sezione A - Narrativa
1° classificato: attestato e pubblicazione gratuita dell’opera vincitrice da parte de La Ruota Edizioni;
2° e 3° classificato: attestato e proposta di pubblicazione dell’opera selezionata da parte de La Ruota Edizioni.
2)     Sezione B - Poesia
1° classificato: attestato e pubblicazione gratuita di una silloge di poesie inedite da parte de La Ruota Edizioni;
2° e 3° classificato: attestato e proposta di pubblicazione di una silloge di poesie inedite da parte de La Ruota Edizioni.
3)     Sezione C - Racconti a tema “l’integrazione”
1° classificato: attestato, pubblicazione gratuita da parte de La Ruota Edizioni del racconto vincente all’interno di un’antologia contenente i migliori racconti pervenuti e 3 copie della suddetta antologia;
2° classificato: attestato, pubblicazione gratuita da parte de La Ruota Edizioni del racconto selezionato all’interno di un’antologia contenente i migliori racconti pervenuti e 2 copie della suddetta antologia;
3° classificato: attestato, pubblicazione gratuita da parte de La Ruota Edizioni del racconto selezionato all’interno di un’antologia contenente i migliori racconti pervenuti e 1 copia della suddetta antologia.
4)     Sezione D - Haiku
1° classificato: attestato e pubblicazione gratuita di una silloge di haiku inediti da parte de La Ruota Edizioni;
2° e 3° classificato: attestato e proposta di pubblicazione di una silloge di haiku ineditida parte de La Ruota Edizioni.
Art. 9: la cerimonia di premiazione, aperta al pubblico, si svolgerà nel mese di ottobre 2016 presso Forlì del Sannio (IS) alla presenza dei componenti della giuria e con lo staff de La Ruota Edizioni. Luogo e data precisi saranno comunicati in seguito.
I vincitori saranno avvisati via telefono e via mail.
I premi e gli attestati potranno essere ritirati dagli interessati (o da persona delegata) il giorno stesso della premiazione. In caso di mancato ritiro La Ruota Edizioni si occuperà di inviare via posta gli attestati. Ai partecipanti che decideranno di venire alla premiazione, la casa editrice fornirà anche una piccola guida via mail dei posti da visitare in Molise, in modo da far scoprire questa meravigliosa terra a chi non la conosce.
Brani tratti dalle opere che si classificheranno ai primi tre posti verranno letti in sede di premiazione dagli autori stessi oppure da attori e/o attrici invitati all’evento come lettori.
Art. 10: i dati personali saranno utilizzati ai fini del concorso e per la comunicazioni di futuri bandi. Ciò avverrà nel rispetto del D.lgs. n. 196 del 30 giugno 2003 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”) e successive modifiche e/o integrazioni.
Art. 11: la partecipazione comporta la piena accettazione di tutti gli articoli contenuti nel presente bando.
Per ulteriori informazioni contattare La Ruota Edizioni, via mail all’indirizzo  info@laruotaedizioni.it oppure tramite telefono al numero 371/1849169.
Il bando è disponibile on line sul sito della casa editrice: www.laruotaedizioni.it e sulla pagina facebook https://www.facebook.com/laruotaedizioni/?fref=ts


Susan Mc Master, sei poesie da 'Haunt'

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