Una lettura
da “incubo”
Ci sono libri che, una volta
letti, ti restano appiccicati addosso come sanguisughe, con tutta una caterva
di pensieri e sensazioni. “Incubo” è uno di questi. Quando mi accinsi a
leggerlo, avevo una vaga idea di cosa stavo per affrontare, dato che di questo
autore ho letto tutte le opere precedenti, ciascuna delle quali mi ha lasciato
qualcosa. Ma con questa sua ultima fatica è stato diverso. Oserei dire
traumatizzante. Affrontare questa lettura è stato letteralmente un incubo. Il
motivo riguarda principalmente la trama. Racconta di un ragazzo autistico che
perde i genitori in un incidente d’auto, con tutte le conseguenze che gli
piombano addosso come macigni. In primis il senso di colpa per essere
sopravvissuto, gli incubi e i vuoti di memoria dovuti al trauma. In secundis,
il dover affrontare il doloroso inizio
di una nuova vita. In tante peripezie, l’unica nota positiva è la sua amicizia
con Caro, una ragazzina che conosce nella nuova scuola, la quale lo capisce e
lo accetta così com’è. Segue poi una vicenda intricata, fino al finale che
colpisce come un pugno in pieno volto. Ero preparata al classico colpo di scena alla
Dorn, però non immaginavo un tale colpo. Comunque, non è questo il motivo per
cui questo libro mi ha tanto sconvolta. Il fatto è che esso ha toccato dei temi
che da sette lunghi anni sono appiccicati, anzi marchiati a fuoco, nella mia
anima. La transitorietà, l’illusione della sicurezza, il fatto che tutto possa cambiare da un momento
all’altro. Io ho avuto modo di imparare tutto ciò a mie spese una notte di
aprile. La maledetta notte in cui il terremoto , in ventitré lunghissimi
secondi, mi ha tolto tutto ciò che fino ad allora era stata la mia vita. Sembrava
che il protagonista fosse la somma delle mie insicurezze e delle mie fragilità
di allora, incarnatesi in un personaggio di carta e inchiostro messo lì a mostrarmi cosa sarebbe potuto
succedere se non le avessi tenute a bada. Mi sono
presa un tale spavento che dubito che prenderò di nuovo in mano qualcosa di
questo autore. Kafka diceva che un libro deve essere un’ascia per il mare
ghiacciato che è dentro di noi. Sono d’accordo, ma questa volta l’ascia è
penetrata troppo a fondo, andando a toccare punti ancora dolenti, nonostante il
passare il tempo. Nonostante questo, però, non mi pento di averlo letto. Perché
se da un lato ha toccato ferite ancora aperte, dall’altro mi ha ricordato che
ho un carattere forte, grazie al quale non sono crollata e le avversità che ho
dovuto affrontare non hanno avuto la meglio su di me. Ha riportato alla mia
mente il più grande insegnamento che ho tratto dal terremoto : carpe diem.
Cogli l’attimo, perché niente è eterno e tutto può cambiare da un momento
all’altro. E quando avviene, mai lasciarsi abbattere, ma farsi forza e
rimettersi in piedi, perché la vita è una guerra, e in guerra o si combatte o
si muore. Libro consigliatissimo, ma
leggetelo armati di coraggio.
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