domenica 7 giugno 2020

Il circolo letterario, Stéphane Mallarmé


Il circolo letterario, Stéphane Mallarmé
a cura di Eraldo Guadagnoli



Lo sguardo intriso di pensieri e riflessione, baffoni spioventi, capelli neri come i suoi occhi indagatori. Così un quadro di Manet ci presenta il poeta Stèphane Mallarmé, nel fiore degli anni. A differenza dell’altro ritratto di Renoir, riferito allo stesso poeta, dove però notiamo una certa canizie e che ci fa presumere che si riferisca a una età più avanzata del letterato.
Non tutti sanno forse che il poeta nasce col nome di Etienne, ma adotterà il nome con cui lo conosciamo tutti solo più avanti. L’infanzia e l’adolescenza sono segnati prima dalla perdita della madre, poi da quella della sorella; e dalla lettura de I Fiori del Male, di Beaudelaire, Mallarmè inizia a cogliere i primi segnali di quello che sarà il suo destino tra gli immortali.
In questo periodo, in cui lui stesso più avanti parlerà di primo passo verso l’abbrutimento, lui cercò una propria dimensione nonostante il carattere turbolento, in perfetta linea con gli altri ‘Poeti Maledetti’ francesi. Dopo aver conosciuto una donna di origine tedesca si sposta a Londra per insegnare e nel frattempo compone le prime poesie.
Ma è quasi in contemporanea con la nascita della figlia, che compone una delle più belle liriche a noi note, L’Azur: «Del sempiterno azzurro la serena ironia / Perséguita, indolente e bella come i fiori, / Il poeta impotente che maledice il suo genio / Attraverso un deserto sterile di Dolori
Dopo aver scritto la prima versione de Il pomeriggio di un fauno, Mallarmé entra in contatto con altri illustri personaggi del suo tempo: Verlaine, una fitta corrispondenza, Rimbaud, Hugo e Manet, di cui abbiamo accennato prima. La sua produzione va a corrente alternata, raggiungendo cime elevate e pause inattese, per lo più motivate da rifiuti di pubblicazione a cui non pensava di arrivare. Ma l’aver introdotto nella metrica alcuni elementi simbolici, più avanti venne considerato uno dei poeti più difficili tra interpretare e studiare: la rivoluzione del linguaggio poetico e l’ermetismo a cui a quel tempo non si era avvezzi provocò un plauso dagli addetti dal settore, ma la bocca storta da parte di chi non comprendeva la musicalità e l’impatto forte delle opere di Mallarmè, che a dire il vero sono molte di meno di quante ne avrebbe potute scrivere.
Negli ultimi anni si lasciò andare a sé stesso, causa anche la perdita di un figlio morto prematuramente. In punto di morte chiese alla moglie e alla figlia di bruciare le sue opere, tanto da scrivere nella sua ultima lettera che non esiste una eredità letteraria. Le due donne non lo ascoltarono e consegnarono alla eternità uno dei più brillanti poeti di sempre, a pieno titolo inserito nella cerchia dei poeti maledetti.
Lo ricordiamo con alcuni versi, che pare calzino a pennello per la sua condotta di vita:

Nulla, spuma, vergine verso
A non designar che la coppa;
Tal si tuffa lungi una frotta
Di sirene, il dorso riverso.
Noi navighiamo, o miei diversi
Amici, io già sulla poppa
Voi sulla prua ch'apre alla rotta
Flutto di folgori e d'inverni;
Un'ebbrezza bella m'ingiunge
Senza temer beccheggio lungo
Di levar alto questo salve
Solitudine, scoglio, stella
A non importa ciò che valse
La cura bianca della vela.

(Salut)



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