sabato 6 agosto 2016

"Incubo" di Wulf Dorn

Una lettura da “incubo”





Ci sono libri che, una volta letti, ti restano appiccicati addosso come sanguisughe, con tutta una caterva di pensieri e sensazioni. “Incubo” è uno di questi. Quando mi accinsi a leggerlo, avevo una vaga idea di cosa stavo per affrontare, dato che di questo autore ho letto tutte le opere precedenti, ciascuna delle quali mi ha lasciato qualcosa. Ma con questa sua ultima fatica è stato diverso. Oserei dire traumatizzante. Affrontare questa lettura è stato letteralmente un incubo. Il motivo riguarda principalmente la trama. Racconta di un ragazzo autistico che perde i genitori in un incidente d’auto, con tutte le conseguenze che gli piombano addosso come macigni. In primis il senso di colpa per essere sopravvissuto, gli incubi e i vuoti di memoria dovuti al trauma. In secundis, il dover affrontare il  doloroso inizio di una nuova vita. In tante peripezie, l’unica nota positiva è la sua amicizia con Caro, una ragazzina che conosce nella nuova scuola, la quale lo capisce e lo accetta così com’è. Segue poi una vicenda intricata, fino al finale che colpisce come un pugno in pieno volto.  Ero preparata al classico colpo di scena alla Dorn, però non immaginavo un tale colpo. Comunque, non è questo il motivo per cui questo libro mi ha tanto sconvolta. Il fatto è che esso ha toccato dei temi che da sette lunghi anni sono appiccicati, anzi marchiati a fuoco, nella mia anima. La transitorietà, l’illusione della sicurezza, il  fatto che tutto possa cambiare da un momento all’altro. Io ho avuto modo di imparare tutto ciò a mie spese una notte di aprile. La maledetta notte in cui il terremoto , in ventitré lunghissimi secondi, mi ha tolto tutto ciò che fino ad allora era stata la mia vita. Sembrava che il protagonista fosse la somma delle mie insicurezze e delle mie fragilità di allora, incarnatesi in un personaggio di carta e inchiostro  messo lì a mostrarmi cosa sarebbe potuto succedere se non le avessi tenute a bada.   Mi sono presa un tale spavento che dubito che prenderò di nuovo in mano qualcosa di questo autore. Kafka diceva che un libro deve essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi. Sono d’accordo, ma questa volta l’ascia è penetrata troppo a fondo, andando a toccare punti ancora dolenti, nonostante il passare il tempo. Nonostante questo, però, non mi pento di averlo letto. Perché se da un lato ha toccato ferite ancora aperte, dall’altro mi ha ricordato che ho un carattere forte, grazie al quale non sono crollata e le avversità che ho dovuto affrontare non hanno avuto la meglio su di me. Ha riportato alla mia mente il più grande insegnamento che ho tratto dal terremoto : carpe diem. Cogli l’attimo, perché niente è eterno e tutto può cambiare da un momento all’altro. E quando avviene, mai lasciarsi abbattere, ma farsi forza e rimettersi in piedi, perché la vita è una guerra, e in guerra o si combatte o si muore. Libro consigliatissimo,  ma leggetelo armati di coraggio. 


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