lunedì 29 giugno 2020

Eliot e Ovidio. Tre note a "La terra desolata"


Eliot e Ovidio. Tre note a "La terra desolata"

di Valter Marcone





Questo blog nella rubrica “Visioni” ha ospitato una riflessione  su “La terra desolata”di Thomas Eliot.  In una nota a quel poemetto lo stesso Eliot  esprime il suo debito nei confronti di Ovidio . Voglio  così  parlare di questo rapporto tra Eliot e Ovidio  per completare  in parte  l’esame dei  temi contenuti  nella composizione  che è ricca di rimandi  ad opere letterarie, avvenimenti storici ,fatti politici, storia delle religioni; ricchezza  che è  da ascrivere alla estesa e  profonda  cultura  del suo autore . Molti commentatori di Ovidio hanno messo in evidenza l’influenza che il poeta Ovidio nato a Sulmona  il 43 a.C. e morto in esilio a Tomi l’odierna Costanza in Romania nel  17 d.C. ha avuto  nei secoli su  autori italiani come Dante ,Petrarca e Boccaccio , sui francesi a partire dai trovatori e dalla poesia didascalica dei  Roma de la Rose  e inglesi  tra cui Shakespeare , Donne Milton.
Il poemetto di EliotLa terra desolata fu pubblicato  su una rivista nel 1922 e venne poco dopo ristampato in volume.
Nella edizione in volume Eliot aggiunse  delle note molto illuminanti  circa i suoi rapporti, ovvero sull’influenza che Ovidio ,ha avuto  su alcune parti e personaggi del poemetto.  Le note sono tre  che  commentano i versi 99  e seguenti di “Una partita a scacchi ( seconda parte de La terra desolata ); nella nota al verso 248 di “Ciò che disse il tuono “ ( ultima parte de La Terra desolata ). E quella più importante ai versi  218 e seguenti  de “ Il sermone del fuoco “ che è la più lunga di tutte le scarne note  del poemetto  ed ha un forte valore antropologico .

La prima nota. Quella a commento  dei versi 99 e seguenti di “ Una partita a scacchi”rinvia  semplicemente a  Ovidio, Metamorfosi VI . Filemone e Bauci “
In realtà però il riferimento  è alla storia di Filomela e Tereo  al VII di Metamorfosi che è diversa da quella di  Filomela e Bauci  (1)

Procne (figlia del re di Atene Pandione) andò in sposa a Tereo, re di Tracia. Dopo non molto tempo, però, Tereo è invaso da passione per la sorella di sua moglie, Filomela; dopo averla stuprata con la forza, per timore che la giovane possa rivelare ogni cosa, le mozza la lingua e la rinchiude, annunciando a tutti che fosse morta. Ma Filomela tesse su di una tela tutto ciò che è accaduto e riesce a farla pervenire a Procne, così che sappia che è ancora viva, mutilata e costretta ad essere concubina di Tereo. Le due sorelle, riunitesi, escogitano una terribile vendetta. Ebbene, Procne aveva avuto da Tereo un figlio, Iti, amato dal padre più di ogn’altra cosa, al punto che per punire il marito, la donna non esitò a compiere quella che è l’azione più esecranda per una madre: fece a pezzi il bambino e lo imbandì a banchetto per Tereo. Solo alla fine del pasto il re chiese dove fosse il figlio ed ebbe per risposta «Colui che cerchi l’hai dentro» (stando alla versione del poeta latino Ovidio), dopodiché la sciagurata mostrò al marito ciò che restava di Iti, ossia il suo capo mozzato. Proprio quando Tereo stava per scagliarsi sulla moglie e la cognata per ucciderle, gli dèi, mossi a pietà, trasformarono le due sorelle in uccelli: raccontano Pausania e Apollodoro che Procne fu mutata in un usignolo (il cui canto sembra suonare τυ, τυ!, ossia in greco “Iti, Iti!”, lamentando in eterno la morte che ha procurato al bambino), Filomela in una rondine (uccello che non ha lingua); infine, anche Tereo subì l’ornitificazione in upupa (uccello dal becco smisurato come la punta di una lancia, il cui verso sembra risuonare come un πο, πο?, cioè in greco “dove, dove?”, mentre cerca disperatamente il figlio (2)

Above the antique mantel was displayed
As though a window gave upon the sylvan scene
The change of Philomel, by the barbarous king
So rudely forced; yet there the nightingale
Filled all the desert with inviolable voice
And still she cried, and still the world pursues,
'Jug Jug' to dirty ears. (
The Waste Land
, “A Game of Chess”, vv. 97-103)

Una  Filomela violata e al contempo un usignolo dalla voce “inviolabile”. La sua è una delle molte voci che attraversano la Waste Land; essa è limpida ma grida quella violenza che è così profondamente inscritta nella sua storia. Molteplici sono anche i significati racchiusi in questi versi: innanzitutto, richiamano tanto gli eventi essenziali del mito (la violenza, la metamorfosi), quanto il topos del canto melodioso
dell’usignolo, consueto già nella poesia dell’Antichità. Eliot segnala, però, anche lo
scarto tra l’una e l’altra figura, attraverso la punteggiatura e la sintassi (“yet”):
l’usignolo canta nonostante la violenza inflitta alla sua forma umana. Eliot, perciò, non fa della voce dell’usignolo un canto gioioso, simbolo di primavera, né lo equipara a un lamento poetico così come avviene prevalentemente nella tradizione rinascimentale. Il poeta americano, invece, attribuisce all’usignolo un grido di dolore e forse anche di accusa per il crimine subito, se assegniamo al “Jug Jug” non solo una valenza onomatopeica ma anche un’eco del “Iugulator” (uccisore, massacratore) dell’usignolo del Complaynt of Phylomene di George Gascoigne, che potrebbe aver fornito lo spunto per la Filomela eliotiana (3)

La seconda nota . Eliot sembra tenere bene a mente il tema ricorrente della violenza  sessuale in Ovidio  che viene narrata attraverso opposizioni  stupro/silenzio, seguite da vendetta gridata al mondo  e catartica sublimazione nei canti . Per questo nella seconda nota l’accenno a Ovidio è ancora più ridotto. Si tratta della nota a commento  del verso  428 di “ Ciò  che disse il tuono “ : In questo verso dopo aver ripreso il vocativo “O swallow swallow “  la rondine rinvia alla seconda e terza parte del poema .

La terza nota è quella dunque più importante  ed è dedicata ai versi 218  e seguenti  de “Il sermone del fuoco “. Ha anch’essa unn tema sessuale e si riferisce alla figura dell’indovino Tiresia . Molte sono le valenze che la mitologia annette a questo personaggio.  Eccone la storia in breve

Indovino tebano al quale vengono attribuite le più strane avventure.
Un giorno mentre era sul monte Citerone gli capitò di vedere due serpi avvinghiate e uccidendo la femmina fu nello stesso momento mutato in donna e divenne una prostituta rinomata.
Sette anni dopo nello stesso luogo, gli capitò di uccidere il maschio di serpe e divenne nuovamente uomo.
Dato che lui era stato sia uomo che donna, Era e Zeus lo chiamarono al loro cospetto perché volevano sapere nell'amplesso amoroso chi godesse di più; Tiresia sentenziò che fatte le parti del piacere amoroso pari a dieci, la donna ne riporta tre volte tre e l'uomo una sola.
A questa sentenza Era si arrabbiò e tolse la vista a Tiresia, allora Zeus per compensarlo gli diede il dono della profezia e la capacità di capire il linguaggio degli uccelli.
Anche dopo morto ottenne da Ade di conservare i suoi poteri e di potersene servire, infatti quando Ulisse scese nel Tartaro, l'ombra di Tiresia lo mise a conoscenza che Poseidone gli era ostile e che sarebbe riuscito ugualmente a giungere ad Itaca.
Predisse la fine di Penteo e lo ammonì di non opporsi al culto di Dioniso.
Un'altra versione del mito narra che Tiresia era un giovane pastore che ebbe la sfortuna di sorprendere la dea Atena nuda mentre si lavava a una sorgente, assieme alla sua stessa madre Cariclo.
Allora Atena gli sfiorò il viso con una mano e lo rese cieco perché aveva visto cose che non doveva vedere. Non proprio inutili furono le suppliche di Cariclo, poiché la dea in cambio della cecità concesse a Tiresia l’arte della profezia e gli donò un bastone di corniolo appoggiandosi al quale Tiresia poteva camminare come quelli che possedevano la vista. (4)

Una figura affascinante  e tanto per ricordare solo uno dei  moderni che ne hanno parlato ricordiamo che Andrea Camilleri in un suggestivo monologo  ,sceglie Tiresia e quel che di questo personaggio ci ha trasmesso la letteratura, la filosofia, la poesia, e lo elegge a pretesto - come già fece Borges con molti dei suoi temi prediletti - per investigare un pensiero da cui estrarre tracce, o prove, della sua vita precedente. Le infinite manipolazioni subite da questa straordinaria figura attraverso epoche e generi, costituiscono per Camilleri uno specchio in cui riflettersi, e attraverso cui rileggere il senso ultimo dell’invenzione letteraria.
L’indovino che compare nell’Odissea, il profeta reso cieco da Giunone (o da Atena?) punito perché rivelava i segreti degli dei, è il protagonista di una conversazione solitaria nel corso della quale il più grande scrittore italiano, meditando ad alta voce sulla cecità e sul tempo, sulla memoria e sulla profezia, parla di sé e del suo viaggio nella vita e nella Storia.

Ecco i versi di Ovidio su Tiresia  :
...Cum Iunone iocos et "Maior vestra profecto est / Quam, quae contingit maribus", dixisse, "voluptas"; / Illa negat; placuit quae sit sententia docti / Quaerere Tiresiae: Venus huic erat utraque nota. / Nam duo magnorum viridi coeuntia silva / Corpora serpentum baculi violaverat ictu. / Deque viro factus, mirabile, femina septem / Egerat autumnos; octavo rursus eosdem / Vidit et "est vestrae si tanta potentia plagae», / Dixit, «ut auctoris sortem in contraria mutet, / Nunc quoque vos feriam!"; percussis anguibus isdem, / Forma prior rediit genetivaque venit imago. / Arbiter hic igitur sumptus de lite iocosa / Dicta Iovis firmat; gravius Saturnia iusto / Nec pro materia fertur doluisse suique / Iudicis aeterna damnavit lumina nocte. / At pater omnipotens (neque enim licet inrita cuiquam / Facta dei fecisse deo) pro lumine adempto / Scire futura dedit poenamque levavit honore».
...Scherzando – Giove – con Giunone, "certo è più forte", disse, "il vostro / piacere sessuale di quello che ai maschi è dato di provare"; / lei dice di no; si stabilisce allora di domandare chi abbia ragione al dotto / Tiresia. A lui erano noti entrambi i tipi di piacere: / un tempo aveva infatti separato con un colpo di bastone / i corpi di due grandi serpenti che si accoppiavano nel folto della foresta / e da maschio che era – cosa stupefacente – s’era trasformato in femmina, tale rimanendo per sette anni; / all’ottavo, rimbattutosi negli stessi serpenti, «se avete potere», / aveva esclamato, «di mutare in senso opposto la sorte riservata a chi vi percuota / ecco, lo rifarò!» e, colpitili / era stato restituito alla sua prima forma e al suo sesso originario. / Nominato dunque arbitro della controversia scherzosa, diede ragione a Giove; cosa di cui Giunone, dicono, si adontò e dispiacque oltre misura, fino al punto di condannarlo a una perenne cecità. / Ma il padre onnipotente degli dèi (a cui pur non è dato, in ogni caso, di vanificare l’operato di un’altra divinità) per compensare Tiresia della vista sottratta /gli diede il dono di conoscere il futuro, alleviandogli con tale grazia il castigo)».

Perche Tiresia ,come scrive Giorgio  Mascitelli :”  è in realtà una figura arcaica, l’indovino al tempo stesso uomo e donna, cieco e condannato a vedere e capire l’orrore del mondo, che viene evocato fin dall’esergo del poema (“ devi tenerti in vita, Tiresia/ è il tuo discapito”), ma nella mia ipotesi di lettura il Tiresia di Mesa è più in stretto rapporto con quello di The Waste Land che con la tradizione greca: in Euripide, in fondo, Tiresia rappresenta la consapevolezza della persistenza delle forze ctonie del mito a fronte del delirio, solo apparentemente raziocinante, della ragione strumentale del potere. In Eliot, invece “benché semplice spettatore e ‘carattere’, è, tuttavia, il personaggio più importante del poema” perché la “sostanza del poema è, insomma, quel che vede Tiresia” ( nota d’autore al v.218 di T.S. Eliot La terra desolata, trad.it, Einaudi, 1983). In altre parole il Tiresia moderno di Eliot è il testimone che dà senso alla visione desolata ossia il poeta ormai deracinè dai processi produttivi capitalistici.”(5)

Scrive  Giovanni D’Alessandro in   Il gran salto nella modernità : “La figura di Tiresia viene a Eliot anch’essa dalle Metamorfosi ovidiane ed è lo stesso poeta a parlarne: «Tiresia, benché sia semplicemente uno spettatore e non un "protagonista", è il personaggio più importante del poema, poiché funge da raccordo per tutti gli altri. Esattamente come il Mercante con un Occhio Solo, Venditore d’Uva Passa, si fonde col Marinaio Fenicio, e quest’ultimo non è completamente distinto da Ferdinando, principe di Napoli» – Eliot parla qui delle altre figure simboliche de La terra desolata –, «così tutte le donne sono una sola donna e i due sessi s’incontrano in Tiresia. Ciò che Tiresia vede, infatti, è la sostanza del poema.”(…) Gli studiosi sanno anche che la figura dell’indovino era stata tra l’altro oggetto, nel carteggio tra T.S. Eliot ed Ezra Pound, di un vibratissimo intervento operato da quest’ultimo (sulla versione originaria de La terra desolata, il cosiddetto Facsimile), col quale s’imponeva a Eliot di cancellare ogni altra figura profetica che non fosse quella ovidiana, perché quest’ultima risaltasse in assoluto. Tiresia è dunque una figura totalizzante, nodale, carica di simboli e di anfibologie sessuali/spirituali in cui si cela, verosimilmente, la più profonda chiave di decriptazione del poema eliottiano.”
E continua D’Alessandro : “Ma perché Eliot scelse Tiresia per farne, secondo la sua stessa ammissione, la figura nodale de La terra desolata? Cosa lo sedusse in quel personaggio e perché? Quali tratti, descritti dal poeta delle Metamorfosi, deflagrarono in lui come veicolatori di un formidabile simbolismo? Fu Ovidio un prefreudiano? O lo considerò tale Eliot, interpretando i suoi personaggi (Filomela, Tereo, Tiresia soprattutto) in chiave psicanalitica, parallelamente all’operazione che Freud compiva, in quegli anni, sui miti greci?
Sono tutte domande che non ammettono una risposta univoca, ma una pluralità di risposte singole, ciascuna delle quali apportatrice di un contributo minimo, magari, ma attendibile.” (6)
Sicuramente queste domande hanno bisogno ancora di approfondimenti e studi de La terra desolata di Eliot.  Resta  in questo momento un punto fermo : la grande modernità di Eliot  e il valore propositivo del suo poemetto che invita al cambiamento  in quanto il futuro è già presente .




(1)   Vecchia e povera coppia, Filemone e Bauci, abitavano in un piccolo villaggio della Frigia. I due sposi ospitarono cortesemente Zeus ed Ermes che viaggiavano in incognito per quelle zone e sino a quel momento non avevano trovato altro che corruzione ed inospitalità. ...A mille case bussarono, in cerca di un luogo per riposare; mille case sprangarono la porta. Una sola infine li accolse: piccola, piccola, con un tetto di paglia e di canne palustri, ma lì, uniti sin dalla loro giovinezza, vivevano Bauci, una pia vecchietta, e Filemone, della stessa età, che in quella capanna erano invecchiati, alleviando la povertà con l'animo sereno di chi non si vergogna di sopportarla... I due vecchietti si adoprarono di preparare per i loro ospiti quanto possedevano privandosi anche della loro unica oca e del pochissimo vino che possedevano. E qui i due vecchi si accorgono che il boccale, a cui si è attinto tante volte, si riempie da solo, che il vino da solo ricresce; turbati dal prodigio, Bauci e il timido Filemone son presi dal terrore e con le mani alzate al cielo si mettono a pregare, chiedendo venia per la povertà del cibo e della mensa. C'era un'unica oca a guardia di quella minuscola cascina, e loro erano pronti ad immolarla per quegli ospiti divini. Dopo aver consumato, nella capanna dei due vecchi che si amavano teneramente, un pasto molto povero, i due visitatori si fecero riconoscere e condussero con loro i due vecchi su una montagna, dicendo loro di guardarsi intorno. Filemone e Bauci videro allora tutto il paese sommerso dal diluvio, che aveva risparmiato la loro capanna, mutata in un bel tempio. Gustata la meraviglia dei vecchi, Zeus chiese loro di formulare un desiderio che sarebbe stato appagato subito.
..."Chiediamo d'essere sacerdoti e di custodire il vostro tempio;
e poiché in dolce armonia abbiamo trascorso i nostri anni,
vorremmo andarcene nello stesso istante, ch'io mai non veda
la tomba di mia moglie e mai lei debba seppellirmi".
Il desiderio fu esaudito: finché ebbero vita, custodirono il tempio. Ma un giorno mentre, sfiniti dallo scorrere degli anni, stavano davanti alla sacra gradinata, narrando la storia del luogo, Bauci vide Filemone coprirsi di fronde e il vecchio Filemone coprirsene Bauci. E ancora, quando la cima raggiunse il loro volto, fra loro, finché poterono, continuarono a parlare: "Addio, amore mio" , dissero insieme e insieme la corteccia come un velo suggellò la loro bocca. Ovidio Metamorfosi VIII. Bauci si mutò in un tiglio, e Filemone in una quercia.  (http://www.miti3000.it/mito/mito/greca_f.htm)
(2) Rondine e Usignolo: due donne nelle tenebre di un mito di Alba Subrizio  in https://www.ilmattinodifoggia.it/blog/21501/Da-dove-nascono-la-rondine-e.html
(3) UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA Dottorato di ricerca in Filologia greca e latina Ciclo XXV IL MITO OVIDIANO DI FILOMELA: RISCRITTURE INGLESI DAL MEDIOEVO ALLA CONTEMPORANEITAUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA Coordinatore: Chiar.mo Prof. Giuseppe Gilberto Biondi Tutor: Chiar.ma Prof. Laura Bandiera Dottoranda: Samanta Trivellini http://dspace-unipr.cineca.it/bitstream/1889/2207/1/Il%20mito%20ovidiano%20di%20Filomela.pdf


(5) https://www.nazioneindiana.com/2015/11/27/il-posto-di-tiresia-leggendo-il-tiresia-di-giuliano-mesa/

(6) Giovanni D’Alessandro  Il gran salto della modernità  http://www.stpauls.it/letture00/0003let/0003le19.htm




domenica 7 giugno 2020

Il circolo letterario, Stéphane Mallarmé


Il circolo letterario, Stéphane Mallarmé
a cura di Eraldo Guadagnoli



Lo sguardo intriso di pensieri e riflessione, baffoni spioventi, capelli neri come i suoi occhi indagatori. Così un quadro di Manet ci presenta il poeta Stèphane Mallarmé, nel fiore degli anni. A differenza dell’altro ritratto di Renoir, riferito allo stesso poeta, dove però notiamo una certa canizie e che ci fa presumere che si riferisca a una età più avanzata del letterato.
Non tutti sanno forse che il poeta nasce col nome di Etienne, ma adotterà il nome con cui lo conosciamo tutti solo più avanti. L’infanzia e l’adolescenza sono segnati prima dalla perdita della madre, poi da quella della sorella; e dalla lettura de I Fiori del Male, di Beaudelaire, Mallarmè inizia a cogliere i primi segnali di quello che sarà il suo destino tra gli immortali.
In questo periodo, in cui lui stesso più avanti parlerà di primo passo verso l’abbrutimento, lui cercò una propria dimensione nonostante il carattere turbolento, in perfetta linea con gli altri ‘Poeti Maledetti’ francesi. Dopo aver conosciuto una donna di origine tedesca si sposta a Londra per insegnare e nel frattempo compone le prime poesie.
Ma è quasi in contemporanea con la nascita della figlia, che compone una delle più belle liriche a noi note, L’Azur: «Del sempiterno azzurro la serena ironia / Perséguita, indolente e bella come i fiori, / Il poeta impotente che maledice il suo genio / Attraverso un deserto sterile di Dolori
Dopo aver scritto la prima versione de Il pomeriggio di un fauno, Mallarmé entra in contatto con altri illustri personaggi del suo tempo: Verlaine, una fitta corrispondenza, Rimbaud, Hugo e Manet, di cui abbiamo accennato prima. La sua produzione va a corrente alternata, raggiungendo cime elevate e pause inattese, per lo più motivate da rifiuti di pubblicazione a cui non pensava di arrivare. Ma l’aver introdotto nella metrica alcuni elementi simbolici, più avanti venne considerato uno dei poeti più difficili tra interpretare e studiare: la rivoluzione del linguaggio poetico e l’ermetismo a cui a quel tempo non si era avvezzi provocò un plauso dagli addetti dal settore, ma la bocca storta da parte di chi non comprendeva la musicalità e l’impatto forte delle opere di Mallarmè, che a dire il vero sono molte di meno di quante ne avrebbe potute scrivere.
Negli ultimi anni si lasciò andare a sé stesso, causa anche la perdita di un figlio morto prematuramente. In punto di morte chiese alla moglie e alla figlia di bruciare le sue opere, tanto da scrivere nella sua ultima lettera che non esiste una eredità letteraria. Le due donne non lo ascoltarono e consegnarono alla eternità uno dei più brillanti poeti di sempre, a pieno titolo inserito nella cerchia dei poeti maledetti.
Lo ricordiamo con alcuni versi, che pare calzino a pennello per la sua condotta di vita:

Nulla, spuma, vergine verso
A non designar che la coppa;
Tal si tuffa lungi una frotta
Di sirene, il dorso riverso.
Noi navighiamo, o miei diversi
Amici, io già sulla poppa
Voi sulla prua ch'apre alla rotta
Flutto di folgori e d'inverni;
Un'ebbrezza bella m'ingiunge
Senza temer beccheggio lungo
Di levar alto questo salve
Solitudine, scoglio, stella
A non importa ciò che valse
La cura bianca della vela.

(Salut)



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