mercoledì 29 aprile 2020

VISIONI, COPIA & INCOLLA: Contaminazioni, prestiti e restituzioni


COPIA & INCOLLA: Contaminazioni, prestiti e restituzioni

RIASSUNTO: Un modo semiserio di affrontare il problema dei prestiti e delle restituzioni nelle opere d’arte a cominciare da quelle narrative e quindi dell’influenza e dei debiti di alcuni autori nei confronti di altri autori partendo da un esperimento compiuto ormai già dieci anni fa e che sembrava diventare una moda. Rimase confinato nella nicchia degli esperimenti e vide pochi risultati. Parlo degli esperimenti di copia-incolla di alcune pubblicazioni di anni addietro. E’, dicevo, un incipit semiserio per un’analisi di problemi come appunto la differenza tra influenza, copiatura, plagio, citazione ecc Naturalmente il problema della influenza sulla ispirazione è cosa seria e va affrontata caso per caso come nel tentativo che riporto in nota. Concludo questa analisi con un esperimento di copia-incolla che mi sono divertito a fare. Prometto solennemente che il prossimo contributo a questo blog sarà serissimo. Ovvero sarà un corollario del post su La terra desolata di Thomas Eliot che racconterà proprio due aspetti del problema che tratto qui: i debiti che lo stesso Eliot dichiara, in una nota a La terra desolata, di avere con Ovidio e il rapporto epistolare con un giovane amore che ha influito sulla sua ispirazione.




L’uso dei social e i moderni mezzi di comunicazione di massa ci hanno abituato in questi anni alla contaminazione dei linguaggi, attraverso prestiti e restituzioni.

C’è stato un periodo in cui una specie di moda come il “copia-incolla” ha contagiato anche autori di narrativa che hanno sperimentalmente usato questa specie di gioco per rinverdire la loro ispirazione. Sono nate e sono state pubblicate alcune opere interessanti  che con l’alibi della sperimentazione hanno preso la scorciatoia  rispetto al serissimo canone  che da sempre viene usato in tutte le forme espressive  e che viene chiamato di volta in volta  corrente letteraria , scuola di pittura , ecc che  pur usando  un suo linguaggio specifico è spesso la trasformazione e l’innovazione rispetto a scuole, correnti precedenti .Molti autori  confessano e dichiarano apertamente i loro debiti nei confronti delle opere  dei loro predecessori .

Molti autori, anche classici, devono molto alle traduzioni di scrittori stranieri e a volte dipendono fondamentalmente da quelle traduzioni. Scrive per esempio Alfonso Berardinelli recensendo Il saggio innovativo di Michele Sisto sull’influenza dei libri Traiettorie. Studi sulla letteratura tradotta in Italia (Quodlibet, pp. 317: “Le svolte più radicali avvenute nella nostra letteratura nell’Ottocento e nel Novecento sono state provocate più dalle suggestioni e dall’esempio di scrittori stranieri, tradotti o meno, che dal passato letterario italiano. La cosa è anche troppo chiara se si pensa al romanzo. Senza l’influenza di Goethe e di Sterne, la narrativa di Foscolo non sarebbe nata e senza la lettura dei romanzi storici di Walter Scott non sarebbe venuto in mente a Manzoni di scrivere I Promessi Sposi. Il più grande narratore del secondo Ottocento, Giovanni Verga, nasce direttamente dal romanzo realista e naturalista francese e senza le influenze francesi, tedesche e russe sarebbero inconcepibili Svevo, Pirandello e D’Annunzio. La Francia, del resto, ha continuato a dominare e a orientare diverse letterature europee almeno fino al 1945: prima con Valéry, Apollinaire, Proust e Gide, poi con Sartre e Camus, infine, fino a ieri, con strutturalisti e post strutturalisti come Barthes, Foucault, Derrida.”

Harold Bloom scrive in Anatomia dell’influenza .La letteratura come stile di vita   Rizzoli  Anatomia dell'influenza riflette su un ampio ventaglio di rapporti d'influenza. Shakespeare è il fondatore, e inizierò da lui, passando dall'influenza di Marlowe su Shakespeare a quella di Shakespeare sugli scrittori da John Milton a James Joyce. I poeti che scrissero in inglese dopo Milton tendevano a lottare contro di lui, ma ai tardoromantici toccò sempre fare una tregua anche con Shakespeare. In modi assai diversi, Wordsworth, Shelley e Keats dovettero stabilire, nella loro produzione poetica, un rapporto tra Shakespeare e Milton. Come vedremo, il meccanismo di difesa adottato da Milton contro Shakespeare è una rimozione altamente selettiva, mentre quello scelto da Joyce è un'appropriazione totale” (…) L'atto di privare il precursore del suo nome mentre si conquista il proprio coincide con la ricerca dei poeti poderosi o severi. La trasmutazione di Walter Whitman junior in Walt fu accompagnata dall'ambivalente venerazione del bardo americano per Emerson. (...) I miei studenti mi chiedono spesso perché i grandi scrittori non possano iniziare da zero, senza alcun passato alle spalle. Posso soltanto rispondere loro che non funziona così, perché, nella pratica, ispirazione significa influenza, come accade nel vocabolario di Shakespeare. Essere influenzati significa ricevere un insegnamento, e un giovane scrittore legge per cercare un ammaestramento, proprio come Milton leggeva Shakespeare, o come Crane leggeva Whitman, o Merrill leggeva Yeats. Dopo aver insegnato per più di mezzo secolo, ho capito di essere utile ai miei studenti soprattutto come provocazione, una consapevolezza che si è estesa alla mia attività di scrittore. Questo atteggiamento allontana alcuni lettori appartenenti al mondo dei media e dell'università, ma non sono loro il mio pubblico. Gertrude Stein osserva che si scrive per se stessi e per gli estranei. A mio avviso, ciò significa parlare sia con me stesso (che è quanto la grande poesia ci insegna a fare) sia con i lettori dissidenti di tutto il mondo che, nella solitudine, cercano istintivamente la qualità in letteratura, disdegnando i lemming che divorano J. K. Rowling e Stephen King mentre corrono giù per i dirupi, verso il suicidio intellettuale nell'oceano grigio di Internet.”

Faulkner non ha fatto mistero per l’influenza che Dostoevskij ha esercitato sulla sua opere come pure la Bibbia e Shakespeare. A influenzarlo sono stati soprattutto “I fratelli Karamazov”; confidando al poeta Hart Crane che nessuna opera dela letteratura americana eguaglia questo romanzo di Dostoevskij.
I l punto di incontro tra Faulkner e Dostoevskij è lo studio della psicologia di chi si trova a vivere una società in crisi. Una famiglia casuale descritta da Faulkner simboleggia gli stati d’animo e le condizioni dell’intera nazione (del Sud americano, per essere più precisi), così come i personaggi di Dostoevskij, sempre a un bivio di moralità, fede ed emozioni.

Insieme a Faulkener ci sono autori occidentali che hanno subito per così dire l’influenza di Dostoevskij: Friedrich Nietzsche, Jean-Paul Sartre,  Ernest Hemingway, Orhan Pamuk    (1)

Il “copia-incolla” quindi rende questa operazione immediata anche se a volte con una certa brutalità perché non fa altro che mutuare, gratuitamente, idee, stili, descrizioni assemblando pezzi di testo di uno o più autori per arrivare a qualcosa di nuovo e di diverso. E’ un semplice accostamento di frasi per “creare” un testo che abbia un senso logico e compiuto e quindi comprensibile dal lettore.

Ecco un esempio di qualche anno fa. Sulla copertina ci sono le parole di Jonathan Lethem,che non è l’autore. S’intitola Reality Hungher (2) e di quest’opera Geoff Dyer (3) scrive.”Ho  appena finito di leggere  Reality Hungher e mi ha illuminato, intossicato,estasiato sopraffatto. E’ un vetro attraverso cui guardare il mondo (come lo mostrano letteratura video e musica) e allo stesso tempo uno specchio attraverso il quale vederci riflessi, là in mezzo. Un libro oltraggioso ma anche un’opera che si compone leggendola”.

Apri il libro e trovi una lista numerata: l’arte è furto, sono contento di passare alla storia come l’uomo del copia incolla e 618 citazioni senza una virgoletta. Da Cicerone all’ultimo autore anche dal nome impronunciabile le citazioni si legano tra di loro e svolgono il filo logico e continuo di una storia. Alla fine una sequela di fonti: nomi e cognomi che è stato costretto ad aggiungere per non finire nei guai con l’invito per il lettore a prendere le forbici e tagliarle di netto.

Nabokov scriveva e non si stancava di ripeterlo: l’unica parola che può andare tra virgolette è la realtà. La massima originalità per lo scrittore è dunque rubare bene? Perché? Perché la grande letteratura è morta nell’Ottocento? Il passaggio dall’azione alla riflessione l’ha uccisa?

Del tramonto della realtà appunto è stato discusso nel Salone del Libro (anno 2010 ndr) ci si è domandato dove è finito lo scrittore.  Che cosa resta della società letteraria? Andrea Cortellessa critico letterario e Luca Archibugi regista nella loro inchiesta “Senza scrittori” prolungano il catalogo stilato da Alberto Arbasino nel suo “Paese senza” di tutte le cose di cui l’Italia è mancante.

“Racconta, come scrive  Francesco Erbani  lunedì 28 giugno 2010 su La Repubblica,   del predominio che la macchina editoriale,soprattutto quella dei grandi gruppi,  ha assunto nel mercato della letteratura , dove non ci sono più opere e scrittori , critici o riviste , ma solo libri , solo produzione industriale , solo una filiera perfettamente assestata, e nella quale,  però quella  che  un tempo si chiamava  la società letteraria  ha pensato bene di accomodarsi ,spintonando un po’ e anche dando  di gomito , ma trovando un cantuccio dove accomodarsi. “

In quel cantuccio   non ci si può permettere colpi di testa perché le grandi aziende editoriale non sono più guidate da singole persone come Valentino Bompiani, Livio Garzanti, Giulio Einaudi, Arnoldo Mondadori ed altri. Sono guidate da staff di funzionari che devono rispondere alla proprietà e ai manager su una cosa sola: il bilancio.  Più è potente l’editore più domina il mercato però solo all’interno delle regole di mercato. Guai ad uscirne con i colpi di testa che sono quelli che una piccola azienda può permettersi rischiando però e spesso di grosso. Rischiando anche nell’affermare la letterarietà del libro

Ma che cosa rende letterario un testo? Lo rende letterario quello che afferma l’americano Michael Cunningham, scrittore premiato con il Pulitzer: “Prendiamo quella che è probabilmente la frase più famosa della letteratura americana: - Call me Ishmael -  che è la frase di apertura del Moby Dick di Hermann Melville … Essa ha non solo autorità ma anche musicalità”
Ebbene queste tre parole che potrebbero equivalere a “Idiota leggi questo” hanno forza e sicurezza ma anche musicalità. In italiano “Chiamatemi Ismaele” è una frase: per continuare a tradurre Moby Dick dunque ne dovete tradurre ancora circa un milione di frasi: Ma l’autorità di questa prima frase dimostra l’autorità di quello che è uno scrittore Hermann Melville.
Certo ogni romanzo, se il romanziere è onesto e lo ammette, non è altro che una rozza approssimazione della storia che si voleva raccontare, probabilmente è il miglior libro scritto in quel momento, a scriverlo cinque anni dopo sarebbe completamente diverso.
Continua Cunningham  nella parte iniziale della sua Lectio Magistralis  “Il lettore, lo scrittore , il traduttore”  presentata  a Firenze  al premio Vallombrosa Gregor  Von Rizzori  tenutosi dal 16 al 18 giugno 2010 :”In ogni caso noi cerchiamo sempre cattedrali di fuoco , e parte dell’eccitazione nel leggere  un grande libro sta nella promessa  di un nuovo libro che non abbiamo ancora incontrato , un libro che possa toccarci ancora più profondamente , che possa farci innalzare ancora più in alto.  Una delle consolazioni nello scrivere libri sta nella convinzione apparentemente invincibile che il prossimo libro sarà migliore, sarà più grande e coraggioso, e più esaustivo e fedele alle vite che viviamo. Rimaniamo in uno stato di speranza continua, amiamo la bellezza e la verità che vengono a trovarci e facciamo del nostro meglio per mettere a tacere dubbi e delusioni. È questa la nostra particolarità. Questa la nostra gloria. Siamo alla ricerca di qualcosa, e non veniamo scoraggiati dal sospetto collettivo che la perfezione che cerchiamo nell’arte abbia la stessa possibilità del santo Graal di venire trovata. Questa è una delle ragioni per cui noi, e intendo noi esseri umani, siamo non solo creatori, traduttori e consumatori di letteratura, ma della letteratura siamo anche i soggetti.”

Dunque contaminazioni, prestiti e restituzioni ma anche citazioni ed esame del punto critico appunto tra citazione e plagio e tra ispirazione, influenza e debito, fino agli imitatori e ai falsari in letteratura ma anche nella storia dell’arte.  Per non tacere per esempio nella storiografia dove non può essere considerata come una semplice διαδοχή, ossia una successione lineare di autori, perché è molto difficile valutare il grado di consapevolezza di uno scrittore nei confronti dei suoi predecessori, siano essi storici o esponenti di altri generi letterari.

 “Smettila di abusare dei miei versi, o pubblicane alcuni dei tuoi diceva Marco Valerio Marziale. Ho letto un aneddoto, racconta che un giorno “si presentò a Michelangelo un pittore che voleva un suo giudizio su un proprio quadro, ritenendolo un capolavoro. In realtà l’opera era stata realizzata scopiazzando vari pittori. Michelangelo sorrise, e disse: "Dovreste guardare il vostro quadro nel giorno del Giudizio: allora, se ognuno vorrà riprendere le proprie membra, a voi non rimarrà che la tela “

Ho fatto un esperimento di un copia incolla così per gioco da alcuni testi di Eugenio Montale ma prima di trascrivere il risultato voglio parlarvi delle opere che ho usato e prometto nel prossimo post di questa rubrica vi proporrò un lavoro molto più serio. Ossia, partendo proprio da quella riflessione che anche qui accenno sulle contaminazioni attraverso i prestiti e le restituzioni, in maniera nobile, cercherò di raccontare il debito, che egli stesso riconosce in due note allegate all’edizione de La terra desolata di Thomas Eliot nei confronti di Ovidio.

Il mio personale esperimento di copia incolla.

Dov’era una volta il tennis, nel piccolo rettangolo difeso dalla massicciata su cui dominano i pini selvatici, cresce ora la gramigna e raspano i conigli nelle ore di libera uscita. Qui vennero un giorno a giocare due sorelle, due bianche farfalle, nelle prime ore del pomeriggio. Verso levante la vista è ancora libera e le umide rocce del Corone maturano sempre l’uva forte per lo sciacchetrà. E’ curioso pensare che ognuno di noi ha un paese come questo e, sia pur diversissimo, che dovrà restare il suo paesaggio immutabile
Accade che le affinità d’anima non giungano
Ai gesti e alle parole ma rimangono
Effuse come un magnetismo. E’ raro
Ma accade

Può darsi che sia vera soltanto la lontananza verso l’oblio, era la foglia secca
Più del fresco germoglio.
Tanto ed altro può darsi o dirsi.

Comprendo la tua caparbia volontà di essere sempre assente
Perché solo così si manifestala tua magia.
Innumeri le astuzie che intendo.
Da tempo stiamo provando la rappresentazione
ma il guaio è che non siamo sempre gli stessi
.

Molti sono già i morti, altri cambiano sesso,
mutano barbe volti lingua o età.
Da anni prepariamo (da secoli) le parti,
“il signore è servito” e nulla di più.
da millenni attendiamo che qualcuno
ci saluti al proscenio con battimani
o anche con qualche fischio, non importa,
purché ci riconforti un nous sommes là.
Purtroppo non pensiamo in francese e così
restiamo sempre al qui e mai al là.
Le parole
se si ridestano
rifiutano la sede
più propizia, la carta di Fabriano, l’inchiostro
di china, la cartella
di cuoio o di velluto
che le tenga in segreto.
Le parole
quando si svegliano
si adagiano sul retro
delle fatture, sui margini
dei bollettini del lotto
delle partecipazioni
matrimoniali o di lutto.
Le parole non chiedono meglio
che l’imbroglio dei tasti
nell’Olivetti portatile,
che il buio dei taschini, che il fondo

dei cestini, ridottevi
in pallottole;
le parole non sono affatto felici
di essere buttate fuori
come zambracche e accolte
con furore di plausi
e disonore;
le parole
sono di tutti e invano
si celano nei dizionari
perché c’è sempre il marrano
che dissotterra i tartufi
più puzzolenti e più rari;
le parole
dopo una lunga attesa
rinunziano alla speranza di essere pronunziate
una volta per tutte
e poi morire
con chi le ha possedute.
(Le parole, Satura II)
Da Eugenio Montale: Dov'era il tennis, Ex voto, Qui e là, Le Parole (4)

NOTA 1

Molti ritengono le “Memorie dal sottosuolo” di Dostoevskij una specie di diario della follia e uno dei primi esempi di esistenzialismo. Quest’opera del romanziere russo ha avuto una grande influenza su Jean-Paul Sartre e Soren Kierkegard. Friedrich Nietzsche, ha definito “Memorie dal sottosuolo” un lavoro psicologico magistrale. Nietzsche aveva un grande interesse per la letteratura russa e leggeva Pushkin, Lermontov e Gogol. Dostoevskij è per il filosofo tedesco una delle scoperte più felici della sua vita. “Conosci Dostoesvkij? A parte Stendhal, nessuno è stato una così bella sorpresa per me e nessuno mi ha fatto tanto piacere. È uno psicologo con cui trovo un terreno comune. Sembra che avesse letto anche “Umiliati e offesi” con le lacrime agli occhi, e Delitto e castigo  .L’Idiota” (la sua teoria dell’Anticristo è un opposto del principe Myshkin) e “Memorie dalla casa dei morti” (non era soddisfatto del pessimismo russo).

Sartre, dice “L’esistenzialismo è un umanismo”. La frase sintetizza le opinioni anticlericali di Ivan Karamazov. Nell’interpretazione di Sartre ciò significa che se Dio non esistesse, allora gli umani sarebbero responsabili di tutto, senza alcuna possibilità di chiedere il perdono. Probabilmente è la stessa cosa scritta da “Dostoevskij: ‘Se Dio non esistesse, allora tutto sarebbe permesso’ che sembra essere per l’esistenzialismo un punto di partenza”.  Dostoevskij mise in primo piano questa ricerca di significato e cercò di risolvere il mistero della responsabilità, tra se stessi e Dio, nei personaggi di Raskolnikov in “Delitto e castigo”, di Stavrogin ne “I Demoni” e di Ivan Karamazov ne “I fratelli Karamazov”. Tuttavia, la fede è la risposta principale di Dostoevskij a tutte le domande, cosa che è in contrasto con l’esistenzialismo occidentale.

L’atteggiamento di Hemingway nei confronti di Dostoevskij si legge in “Festa mobile”. “In Dostoevskij c’erano cose da credere e cose da non credere, ma alcune così vere da cambiarti mentre le leggevi; fragilità e follia, cattiveria e santità e l’insania del gioco, ti balzavano agli occhi come il paesaggio e le strade in Turgenev, e il movimento delle truppe, il terreno e gli ufficiali e gli uomini combattimenti in Tolstoj”.


Pamuk ammette che Tolstoj sia un romanziere più magistrale, ma personalmente è stato molto più influenzato dal Dostoevskij politico. In una conferenza a San Pietroburgo, Pamuk ha affermato che quando ha letto per la prima volta “I fratelli Karamazov”, ha capito che la sua vita era completamente cambiata. Pamuk sentiva persino che Dostoevskij gli stesse parlando direttamente, rivelandogli qualcosa sulle persone e sulla vita che nessun altro conosce.Già a  ventanni, Pamuk  aveva letto  “I Demoni” rimanendone sconcertato perché  n iente di ciò che aveva letto prima gli aveva fatto una tale impressione. Era scioccato da quanto forte potesse essere la sua passione per il potere e allo stesso tempo era stupito dalla sua capacità di perdonare e dal bisogno di avere fede. La brama di tutte le cose sporche e sante nello stesso momento; questo è ciò che ha fatto riflettere Pamuk profondamente.

 Fonte  https://it.rbth.com/cultura/80465-cinque-scrittori-occidentali-influenzati-da-dostoevskij

NOTA 2

Reality Hunger: A Manifesto è un libro di saggistica dello scrittore americano David Shields , pubblicato da Knopf  il 23 febbraio 2010. Il libro è scritto in stile collage, mescolando le citazioni dell'autore con quelle di una varietà di altre fonti. Il manifesto del libro è diretto ad aumentare il coinvolgimento dell'arte con la realtà della vita contemporanea attraverso l'esplorazione di generi ibridi come la poesia in prosa e il collage letterario. In Vanity Fair, Elissa Schappell ha definito Reality Hunger "un richiamo alle armi per tutti gli artisti per rifiutare le leggi che regolano l'appropriazione, cancellare i confini tra finzione e saggistica e dare origine a una nuova forma moderna per un nuovo secolo".




NOTA 3

Geoff Dyer (Cheltenham, 5 giugno 1958) è uno scrittore britannico. Ha studiato al Corpus Christi College di Oxford. Il suo primo libro è un saggio su John Berger, Ways of Telling: The Work of John Berger (1986), mentre il suo primo romanzo è Il colore della memoria (1989), di carattere autobiografico, ambientato negli anni ottanta a Brixton, a sud di Londra. Ha raggiunto la notorietà con Natura morta con custodia di sax. Storie di jazz (But Beautiful) (1991), con il quale ha vinto il Somerset Maugham Award.
Scrive regolarmente per quotidiani e riviste britanniche, come The Guardian, The Independent, New Statesman ed Esquire. Alcuni dei suoi articoli dalle più diverse parti del mondo sono stati raccolti nel libro di storie di viaggio Yoga per gente che proprio non ne vuole sapere (Yoga For People Who Can't Be Bothered To Do It) (2003). Nel 2005 ha pubblicato una personalissima storia della fotografia, L'infinito istante. Saggio sulla fotografia (The Ongoing Moment) (2005).

Nota 4

EUGENIO MONTALE, DOV' ERA IL TENNIS...


(Poemetto in prosa di Eugenio MontaleDov’era il tennis, nella raccolta La Bufera e altro. Il tema è identico a quello delle Immagini di Roma i: lo struggimento, la nostalgia nel ripensare al passato, all’infanzia, a incontri fatti, si concretizza (Montale parlava di correlativo oggettivo) in un paesaggio, magari minuscolo. Si capisce che li può esserci il senso di tutto, del proprio destino,)

Dov'era una volta il tennis, nel piccolo rettangolo difeso dalla massicciata su cui dominano i pini selvatici, cresce ora la gramigna e raspano i conigli nelle ore di libera uscita.
  Qui vennero un giorno a giocare due sorelle, due bianche farfalle, nelle prime ore del pomeriggio. Verso levante la vista era (è ancora) libera e le umide rocce del Corone maturano sempre l'uva forte per lo 'sciacchetrà'. E' curioso pensare che ognuno di noi ha un un paese come questo, e sia pur diversissimo, che dovrà restare il suo paesaggio, immutabile; è curioso che l'ordine fisico sia così lento a filtrare in noi e poi così impossibile a scancellarsi. Ma quanto al resto? a conti fatti, chiedersi il come e perché della partita interrotta è come chiederselo della nubecola di valore che esce dal cargo arrembato, laggiù sulla linea della Palmaria. Fra poco s'accenderanno nel golfo le prime lampare.
  Intorno, a distesa d'occhio, l'iniquità degli oggetti persiste intangibile. La grotta incrostata di conchiglie dev'essere rimasta la stessa nel giardino delle piante grasse, sotto il tennis; ma il parente maniaco non verrà più a fotografare al lampo di magnesio il fiore unico, irripetibile, sorto su un cacto spinoso e destinato a una vita di poche istanti. Anche le ville dei sudamericani sembrano chiuse: Non sempre ci furono eredi pronti a dilapidare la lussuosa paccottiglia messa insieme a suon di pesos o di milreis. O forse la sarabanda dei nuovi giunti segna il passo in altro contrade: qui siamo perfettamente defilati, fuori tiro. Si direbbe che la vita non possa accedervi che a lampi e si pasca solo di quanto s' accumula inerte e va in cancrena in queste zone abbandonate.
 Del salòn en el àngulo oscuro - silenciosa y cubierta de polvo - veìase el arpa...'Eh sì, il museo sarebbe impressionante se si potesse scoperchiare l'ex paradiso del Liberty. Sul conchiglione-terrazzo sostenuto da un Nettuno gigante, ora scrostato, nessuno apparve più dopo la sconfitta elettorale del Leone del Callao; ma là, sull' esorbitante bovindo affrescato di peri meli e serpenti da paradiso terrestre, pensò invano la signora Paquita buonanima di produrre la sua serena vecchiaia confortata di truffatissimi agi e del sorriso della posterità. Vennero un giorno i mariti delle figlie, i generi brazileiri e gettata la maschera fecero man bassa di quel ben di Dio. Della duena e degli altri non si seppe più nulla. Uno dei discendenti rispuntò poi fuori in una delle ultime guerre e fece miracoli. Ma allora si era giunti sì e no ai tempi dell'inno tripolino. Questi oggetti, queste case, erano ancora nel circolo vitale, fin ch 'esso durò. Pochi sentirono dapprima che il freddo stava per giungere; e tra questi forse mio padre che anche nel più caldo giorno d' agosto, finita la cena all'aperto, piena di falene e d' altri insetti, dopo essersi buttato sulle spalle uno scialle di lana, ripetendo sempre in francese, chissà perchè, " il fait bien froid, bien froid", si ritirava subito in camera  per finir di fumarsi a letto il suo Cavour da sette centesimi.

EUGENIO MONTALE, Ex voto (Satura, Milano, Mondadori 1971)

Accade
che le affinità d'anima non giungano
ai gesti e alle parole ma rimangano
effuse come un magnetismo. È raro
ma accade.

Può darsi
che sia vera soltanto la lontananza,
vero l'oblio, vera la foglia secca
più del fresco germoglio. Tanto e altro
può darsi o dirsi.

Comprendo
la tua caparbia volontà di essere sempre assente
perché solo così si manifesta
la tua magia. Innumeri le astuzie
che intendo.

Insisto
nel ricercarti nel fuscello e mai
nell'albero spiegato, mai nel pieno, sempre
nel vuoto: in quello che anche al trapano
resiste.

Era o non era
la volontà dei numi che presidiano
il tuo lontano focolare, strani
multiformi multanimi animali domestici;
fors'era così come mi pareva
o non era.

Ignoro
se la mia inesistenza appaga il tuo destino,
se la tua colma il mio che ne trabocca,
se l'innocenza è una colpa oppure
si coglie sulla soglia dei tuoi lari. Di me,
di te tutto conosco, tutto
ignoro.



LE PAROLE da Satura, Satura II

Le parole
se si ridestano
rifiutano la sede
più propizia, la carta
di Fabriano, l’inchiostro
di china, la cartella
di cuoio o di velluto
che le tenga in segreto;
le parole
quando si svegliano
si adagiano sul retro
delle fatture, sui margini
dei bollettini del lotto,
sulle partecipazioni
matrimoniali o di lutto;
le parole
non chiedono di meglio
che l’imbroglio dei tasti
nell’Olivetti portatile,
che il buio dei taschini
del panciotto, che il fondo
del cestino, ridottevi
in pallottole;
le parole
non sono affatto felici
di essere buttate fuori
come zambracche e accolte
con furore di plausi e
disonore;
le parole
preferiscono il sonno
nella bottiglia al ludibrio
di essere lette, vendute,
imbalsamate, ibernate;
le parole
sono di tutti e invano
si celano nei dizionari
perché c’è sempre il marrano
che dissotterra i tartufi
più puzzolenti e più rari;
le parole
dopo un’eterna attesa
rinunziano alla speranza
di essere pronunziate
una volta per tutte
e poi morire
con chi le ha possedute.
Qui e Là da “Poesie” ed. Mondadori 2004

Da tempo stiamo provando la rappresentazione,
ma il guaio è che non siamo sempre gli stessi.
Molti sono già morti, altri cambiano sesso,
mutano barbe volti lingua o età.
Da anni prepariamo (da secoli) le parti,
la tirata di fondo o solamente
«il signore è servito» e nulla più.
Da millenni attendiamo che qualcuno
ci saluti dal proscenio con battimani
o anche con qualche fischio, non importa,
purché ci riconforti un «nous sommes là».
Purtroppo non pensiamo in francese e così
restiamo sempre al qui e mai al là.





Nessun commento:

Posta un commento

Susan Mc Master, sei poesie da 'Haunt'

  Sei poesie da   HAUNT di SUSAN MC MASTER    a cura di Valentina Meloni   Symbiosis   The stuffed lion I bought when my ...