venerdì 17 gennaio 2020

Il bianco occhio meccanico: recensione di LITHIUM 48 di Fabio Iuliano


Il bianco occhio meccanico: recensione di LITHIUM 48 di Fabio Iuliano (Aurora Edizioni)




Tutti hanno dei crucci con cui fare i conti, nel corso della vita. Anche io ne ho uno che mi porto dietro dall’infanzia: quello di non riuscire a capire il mondo. 

Ho sempre avuto la sensazione che questo pazzo mondo in cui viviamo, che negli ultimi anni ha aumentato sempre di più la velocità dei suoi ingranaggi, parlasse un linguaggio a me sconosciuto che, per qualche misterioso motivo, tutti sembravano comprendere, tranne me. 

Ho cercato la soluzione ai suoi enigmi nei miei studi, nelle mie letture e, da ultimo, nei miei scritti. E le ho trovate. Ne ho appreso i meccanismi come quando si impara ad usare un computer nuovo, o a guidare una macchina. Tuttavia il senso di smarrimento non è mai sparito del tutto. 
Lo stesso smarrimento che ho visto in Simone, il protagonista del libro che mi accingo a recensire. Simone è un giovane musicista e blogger che, per lavoro, si trasferisce a Parigi ed è convinto di essere inseguito dalle telecamere. Il suo turbamento arriva a tal punto da condurlo a essere rinchiuso in una stanza completamente bianca, in un posto che di bianco ha persino il nome. Un bianco accecante, fatto per annientare i sensi.

Assordante nonostante il fatto che sia un colore anziché un suono. È il più subdolo dei colori, il bianco, perché si presta alle più contraddittorie interpretazioni. Se da un lato può rappresentare la purezza, dall'altro può anche voler dire smarrimento, ansia. Qualcuno ha detto che potrebbe essere il colore del nulla. Un non-colore, anche se, fisicamente parlando, li racchiude tutti. In esso potrebbe facilmente nascondersi un occhio, anzi mille occhi, che ogni minuto vedono tutto ciò che facciamo (“il Grande Fratello ti guarda”). 

E qui torniamo all’ossessione del protagonista. Ma è un delirio del tutto infondato? Il mondo di oggi ha creato il web e i social network per accorciare le distanze e facilitare la comunicazione tra gli esseri umani. Nel corso di pochi anni, la tecnologia ha avuto uno sviluppo senza precedenti, e che cosa ci sta portando? A mio parere, risultati non buoni. Oggigiorno siamo sempre più connessi, ma siamo sempre più soli. 

social network ci fanno sapere tutto di tutti, ma ci fanno perdere il
contatto con noi stessi, con il nostro io più profondo. I nostri dati volano ovunque e fermarli è complicato quanto tentare di afferrare il fumo. Il mondo è una macchina impazzita che fagocita l’umanità e tutto ciò che ci rende qualcosa di più di un animale che cammina e respira per trasformare i suoi stessi creatori in macchinette. Il peggio è che nessuno sembra accorgersene e chi lo comprende come deve sentirsi se non smarrito di fronte a tutto questo? 

Cosa deve fare per non rimanere incastrato nei suoi ingranaggi, come in “Tempi moderni”? C’è una speranza di sfuggire a questa disumanizzazione? Io credo di si, e si trova nelle arti e in libri come questo. L’autore è riuscito a concentrare in poche pagine un thriller psicologico-distopico in maniera magistrale. Durante la lettura si ha l’impressione che George Orwell e Ray Bradbury abbiano guidato la mano dell’autore, creando una magnifica trama in cui le tematiche del progresso impazzito, dello smarrimento dell’individuo di fronte alla società globalizzata, della malattia mentale si intrecciano in un puzzle perfetto, dove ogni argomento ha il suo posto e niente è lasciato al caso. 

La suspense, poi, che non deve mai mancare in thriller degno di questo nome, è perfetta. Inchioda il lettore fino all’ultima pagina. Questo libro è un’ottima chiave per capire il mondo di oggi, come esso si sta evolvendo e come ci stiamo evolvendo noi. Il volume ridotto lo rende adatto anche ai neofiti della lettura. Un libro da leggere e rileggere più volte, che ha già il suo posto nel firmamento del romanzo psicologico.

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