Elogio del lavoro: recensione de LA CHIAVE A STELLA di Primo Levi
A cura di Selene Luise
Cruccio maggiore di ogni specie
vivente, sin dai primordi, è procacciarsi il nutrimento necessario per
vivere. Ciò vale anche e soprattutto per
il genere umano. Prima con la caccia e
la raccolta, poi con il baratto, finché non venne inventata una comune merce di
scambio, chiamata denaro, per procurarsi la quale occorre lavorare. Che il lettore non si offenda di questa
premessa un po’marxista, ma necessaria per introdurre il libro oggetto di
questa recensione, LA CHIAVE A STELLA, il cui protagonista è, appunto, il
lavoro.
Considerata dall’autore la sua “opera prima”, poiché scritta nel
momento della sua vita in cui, lasciato il mestiere di chimico, si dedicò
completamente alla scrittura, racconta di un dialogo tra l’autore e l’operaio
specializzato Faussone, che gira il mondo montando gru e ponteggi con la sua
inseparabile chiave a stella. Questa storia è stata da molti definita
“un’odissea moderna”, e in un certo senso lo è, ma io la vedo in un altro modo.
Dai racconti di Faussone, il cui stile si avvicina al complicatissimo flusso di
coscienza, e di conseguenza richiedono al lettore uno sforzo in più poterli
seguire, talmente dettagliati nelle
descrizioni da apparire talvolta noiosi per chi di cantieri ne sa poco o nulla,
emerge una passione, un amore sconfinato per la professione da lui svolta che
può lasciare di stucco il lettore odierno, specie se giovane. Un amore che, per
bocca di Faussone stesso, viene esteso a mestieri di ogni genere, pratici ed
intellettuali, creando un vero e proprio elogio del lavoro.
Del lavoro inteso come l’atto di guadagnarsi
da vivere svolgendo una professione che piace, innanzitutto, e che porta
vantaggi a se stessi e alla comunità. Un messaggio importantissimo all’epoca e
che adesso si è, purtroppo, dimenticato. Nel mondo di oggi, così frenetico,
votato al culto dei beni materiali, del consumismo, traspare un messaggio
completamente sbagliato, a mio parere. Il messaggio che la vita sia un continuo
sperpero, un monotono passare da un aggeggio tecnologico e l’altro, dove viene
premiata l’arte del “fregare l’altro” e, cosa ancora più grave, che la vera
vita sia quella dei ricchi che passano le giornate a far niente mentre lavorare
è considerato quasi un disonore, una schiavitù che non porta a nulla. Tant'è
che in alcune zone del paese, i ragazzini, anziché pensare a costruirsi un
futuro, si buttano nel nero mare della criminalità organizzata, attratti dalla
prospettiva di avere tutto e subito.
Questo libro ci insegna che il lavoro è
dignità, realizzazione, è fare il bene
per se stessi e per gli altri. Faussone lo spiega chiaramente raccontando la
soddisfazione che prova quando vede una sua costruzione crescere e reggersi in
piedi. A volte arriva persino ad affezionarcisi. Discorso, questo, che vale per
lo scrittore, per il chimico, il medico, il giurista e tutti i mestieri del
mondo. Un messaggio fortissimo detto da Primo Levi che, in lager, aveva
sperimentato sulla sua pelle il lavoro-schiavitù, la fatica senza compenso che
umilia e degrada chi la svolge.
Qualcuno
ha detto che un libro che tratta una tematica del genere non sarebbe di moda al
giorno d’oggi. Ebbene io penso che ora più che mai si abbia bisogno di libri
come questo, che insegnino l’importanza
di porsi uno scopo nella vita, a scegliere la professione seguendo le
proprie inclinazioni, per quanto possa essere difficile dati i tempi che
corrono, che ci ricordi che il lavoro è un diritto che porta dignità e
autorealizzazione, non un disonore. Un libro attualissimo che può essere una guida in
un mondo caotico e pazzo che fa delle persone delle res.
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