venerdì 7 febbraio 2020

Una razza votata all’autodistruzione: recensione di 1984 di George Orwell

Una razza votata all’autodistruzione: recensione di 1984 di George Orwell.


Per quanto libro e film, di una determinata storia, debbano stare rigorosamente separati, date le differenze tra le due arti, può capitare che guardare il film prima di leggere il libro possa influenzare il soggetto nel cimentarsi o meno nella lettura del libro. È quel che è capitato a me con 1984.  Me lo fecero vedere a scuola e, tra il fatto di non aver capito minimamente la storia, l’atmosfera cupa e il finale tragico, mi sono occorsi ben nove anni, perché mi decidessi finalmente ad affrontare questa lettura. Non mi muovo rimproveri per questo, poiché, come dico sempre, ogni libro ha il suo momento. Ora che l’ho finalmente letto, l’approccio è completamente cambiato. 



Ho compreso i reali significati di questo libro e lo amo. E semmai mi capitasse di rivedere il film, sono sicura che lo guarderò con occhi nuovi. Scritto nel 1948, è ambientato in un futuro prossimo in cui il mondo è diviso in tre superstati perennemente in lotta tra loro. L’individuo, o quel che ne resta, è alla mercé del “Partito” che controlla ogni singolo attimo della sua vita, persino il sonno. È proibito divertirsi, è proibito avere una vita privata, è proibito pensare, in una parola essere umani. In tutto questo solo Winston e Julia osano intraprendere una piccola grande lotta per riconquistare un briciolo di umanità. Dalla prima all’ultima pagina si respira un’atmosfera densa e opprimente. Se si prova ad immaginare l’ambiente lo si vede sotto un cielo perennemente coperto di nuvole nere e grigie, nonostante l’autore non manchi di descrivere le condizioni atmosferiche in cui si svolgono le vicende dei due protagonisti. Se ci si concentra, sembra anche di sentire il freddo che ti morde la pelle e l’odore di chiuso e stantio degli edifici. Il Partito con i suoi teleschermi che ti guardano ogni secondo; l’immagine del Grande Fratello, affissa ovunque, che rimanda a un Hitler o uno Stalin; la filosofia stessa del Partito è, più che un’ideologia, una religione. Lo mostra chiaramente l’incontro dei protagonisti con O’Brien. La cosa che più colpisce è la permanente opera di distruzione di ogni traccia di passato in disaccordo con il Partito, perché niente esiste se non viene ricordato. Una lobotomia di massa. Soltanto i “prolet” sono risparmiati, in quanto schiavi, da questa invasione. Winston, benché non del tutto coscientemente, sente dentro di sé che quella non è la vita che un essere umano dovrebbe fare e, insieme a Julia, cerca di riappropriarsi della sua anima, sperando al contempo in una futura ribellione. Il libro allo stesso tempo ti attira e ti respinge. Ti respinge perché il clima da incubo che vi si respira ti invita a buttarlo contro il muro, ritenendoti fortunato di vivere nella tua realtà e ringraziando che la profezia di Orwell non si sia avverata. A ben vedere, però, è riduttivo, se non, fuorviante, ritenerlo una profezia non avverata. L’autore ha portato, nella fantasia, all’estremo la situazione che vedeva nel suo tempo, offrendo un monito per il presente e per il futuro. Il suo scopo era metterci in guardia contro ogni forma di totalitarismo, a diffidare del potere, o meglio dell’amore per il potere, poiché, checché ne dica il Partito, un sistema così è inevitabilmente destinato, prima o poi, ad implodere su stesso e a scomparire, trascinando con sé l’intera umanità. E viene da chiedersi perché tanta ossessione per il potere, perché l’essere umano da un lato continua a sognare un mondo senza disuguaglianze a dall’altro fa di tutto per non realizzarlo. Orwell non dà risposte a queste domande, ci dice semplicemente che non c’è speranza, né riparo, nemmeno all’interno della scatola cranica. Ti attira perché, con lo stile scorrevole, facile da seguire, si resta ipnotizzati dalla vicenda dei due protagonisti, speri con tutto il cuore che ce la facciano, che resistano nella lotta alla riconquista della loro umanità in quella specie di Auschwitz divenuta città. Lo continui a sperare anche se il finale non dà motivi per sperare. Un libro da tenere sempre sul comodino, da rileggere più e più volte, per ricordarsi cosa sia la libertà, cosa sia il libero pensiero. In una parola cosa voglia dire essere umani.


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