Recensione de I SOMMERSI E I SALVATI di Primo Levi, Einaudi a cura di Selene Luise
Autopsia letteraria
Qualche tempo fa, dissi che i libri piccoli di spessore sono
i più duri e più difficili da affrontare, poiché in essi il miele dell’autore
non è diluito ma concentrato, e quindi somministrato a palate. L’autore con il
quale mi sto cimentando in questo periodo, Primo Levi, me ne ha dato la prova
schiacciante.
Ha una prosa semplice, scorrevole, eppure a volte capitano dei
periodi o intere pagine che devi rileggere più volte per afferrarle, perché ciò
che ha vissuto e che racconta, pur
essendo fatti veri, accaduti soltanto il secolo scorso, vanno così al di là del
normale, sono così al di fuori dell’umanamente concepibile, che bisogna
compiere uno sforzo titanico per andare avanti nella lettura, comprendere,
anche solo lasciare che la mente assorba quanto letto.
I SOMMERSI E I SALVATI è
la terza opera di questo autore che leggo. La lettura è stata proficua ma
faticosa per i motivi suddetti e ora anche nel recensirlo sto trovando
difficoltà, quindi prego il lettore di non restare troppo deluso del risultato.
Scritto a distanza di quarant'anni da quel periodo nero, in questo libro
troviamo un Primo Levi molto diverso da quello di SE QUESTO È UN UOMO e LA
TREGUA.
Ora entrato nella terza età, con alle spalle una carriera ormai solida
di scrittore, lo vediamo tornare ai tragici eventi che lo avevano indotto a
dedicarsi alla pagina scritta, ma ora nella veste, seppur involontaria, di
psicologo, storico e sociologo. In questo saggio, l’autore scende ancora più a
fondo degli eventi che ha vissuto e li sviscera in ogni singola particella,
compiendo una vera e propria autopsia letteraria, servendosi della penna come
di un bisturi.
A cominciare dalla
memoria in sé per sé “strumento meraviglioso ma fallace”, come a voler ribadire che lui, reduce, è solo
un testimone il cui compito è raccontare ciò che ha vissuto, affinché il mondo
sappia che il fondo più basso della cattiveria umana è stato toccato e che una
cosa del genere non abbia più a ripetersi.
Levi rifiuta con forza ogni altra
etichetta che il mondo vorrebbe dargli come reduce, da quella di giudice a
quella di miracolato. Esamina ogni dettaglio, anche il più agghiacciante;
risponde alle domande che più spesso si sente rivolgere e analizza le reazioni
dei suoi interlocutori. Ciò che ancora una volta colpisce di questo autore è la
potenza dostoevskiana con cui analizza l’animo umano, anche quello dei suoi
stessi carnefici, il tutto senza commiserazione né odio. Il capitolo che mi ha
colpito di più è stato “lettere di tedeschi” dove l’autore raccoglie le
corrispondenze ricevute dalla Germania in occasione della traduzione in tedesco
di SE QUESTO È UN UOMO.
C’era chi tentava giustificazioni dicendo di non aver
capito; chi, a causa della giovane età, non poteva esprimer giudizi ma sentiva
comunque un certo senso di colpa e una sola che ammetteva il reale
comportamento. Insomma una miriade di reazioni diverse.
A volte mi capita di
chiedermi cosa pensino i tedeschi di oggi di quei terribili eventi, se ne
vergognano? Chi lo sa. Probabilmente , oggi come allora, si avrebbe una moltitudine
di risposte diverse, tale che sarebbe impossibile darne una definizione.
L’unica cosa che so è che questo libro piccolo e crudele contiene la più
scomoda delle verità, cioè che il fondo dei fondi del comportamento umano non è
stato toccato in un paese remoto e selvaggio, ma nella civile Europa. Niente
potrà mai cancellare questa macchia, ma si può fare in modo che non accada mai
più.
Perciò ogni essere umano, e in particolare noi europei, dovrebbe leggere
questo libro, in modo da tenere gli occhi aperti e stare in guardia, perché la
storia è un anello e l’essere umano non sempre sceglie il bene.